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Giovanni Andornino è commendatore: tra i più giovani della nostra Repubblica

Ha ricevuto l’onorificenza nella giornata del 2 Giugno.

Giovanni Andornino è commendatore:  tra i più giovani della nostra Repubblica
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Giovanni Andornino è uno dei più giovani Commendatori della Repubblica. Classe 1981, di Castagneto Po, è stato insignito dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella su proposta del Presidente del Consiglio Mario Draghi.
L’O.M.R.I., istituito nel 1951, è il primo fra gli Ordini nazionali ed è destinato a ricompensare benemerenze acquisite verso la Nazione nel campo delle lettere, delle arti, della economia e nel disimpegno di pubbliche cariche e di attività svolte a fini sociali, filantropici ed umanitari, nonché per lunghi e segnalati servizi nelle carriere civili e militari Andornino ha ricevuto l’onorificenza nella giornata del 2 Giugno, presso l’aula magna della Scuola di Applicazioni dell’Esercito Italiano a Torino ed è stato accompagnato dal sindaco di Castagneto Po, Danilo Borca.

L'intervista al commendatore Andornino

Lei è un ricercatore universitario, ma non solo. Può darci qualche dettaglio in più sulle sue attività?

«Esatto, sono un ricercatore universitario: insegno Relazioni internazionali dell’Asia orientale presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino. Il mio ambito di studio è la Cina contemporanea, nelle sue dimensioni politiche e socio-economiche. Nel 2009 con alcuni colleghi abbiamo costituito il Torino World Affairs Institute (www.twai.it) e nel 2017 il TOChina Hub (www.tochina.it): lavoriamo per fare di Torino un polo nazionale ed europeo nel campo delle conoscenze sulla Cina e sull’Asia sud-orientale. Un pezzo importante del nostro futuro si definirà in Asia e in quella regione occorre muoversi con grande consapevolezza a tutti i livelli, dalle imprese, alle istituzioni, al terzo settore. Il nostro approccio è di promuovere ricerca di taglio applicativo, con ricadute operative. Tra queste c’è il forum filantropico Italia-Cina, che abbiamo costituito nel 2019 cercando nella filantropia un terreno di collaborazione tra le società civili dei due paesi in una fase politica internazionale davvero molto complessa».

Cosa ha provato quando ha saputo della nomina e quando ha ricevuto l’onorificenza?

«Il decreto di conferimento è del 27 dicembre 2021 e io sono stato informato qualche tempo dopo per le vie brevi. Cosa posso dire? Mi sono dovuto sedere, sono rimasto assolutamente senza parole. La cerimonia di conferimento del 2 giugno scorso è stata altrettanto emozionante, ma a quel punto avevo avuto il tempo di documentarmi sull’Ordine, e poi stavolta ero in compagnia. Ho trovato molto bello che chi ha ricevuto l’onorificenza sia andato a ritirarla accompagnato dal proprio Sindaco: quando un merito viene riconosciuto a un particolare individuo, è probabile che quell’individuo sia stato messo nelle condizioni di fare del suo meglio grazie a una rete di persone e ad una comunità intorno. Questo è sicuramente il mio caso se penso a Castagneto e in particolare alla frazione San Genesio e alla borgata Negri».

Come e perché si è appassionato di Cina? 

«In effetti conosco molte persone per cui la Cina è una passione, un qualcosa che tocca la dimensione emotiva. Nel mio caso non è proprio così: mi sono formato come politologo internazionalista e la Cina mi interpella anzitutto in quanto motore di cambiamento negli assetti globali. Situazioni che sin dalla fine della Guerra fredda davamo per scontate e che oggi non lo sono più. Il cambiamento porta minacce agli equilibri consolidati, e quindi tensioni, oltre a grandi opportunità, e quindi tentazioni. Il discrimine tra successo e fallimento, a mio modo di vedere, è la conoscenza. Come i miei colleghi, anch’io sento l’urgenza di fare la mia parte perché l’Italia sia equipaggiata con strumenti cognitivi adeguati per interagire in modo efficace e responsabile con quella realtà così distante dalle nostre coordinate culturali».

Nella sua audizione in Senato del maggio 2021 lei ha preso una posizione molto equilibrata riguardo ai rapporti economici tra Cina ed Europa. La Cina è un alleato o un antagonista per noi?

La Commissione Europea considera la Cina al contempo un partner su temi di rilievo globale, un concorrente in ambito economico e tecnologico, e un rivale rispetto al sistema politico autoritario che esprime. Difficile dare una definizione migliore. La politica internazionale, e le relazioni con un paese come la Cina, richiedono tanto equilibrio quanto rigore».

Studiare la Cina oggi è più complicato che in passato?

«Nell’ultimo decennio è diventato sempre più complicato: anche prima della pandemia, che ha pressoché isolato il paese, l’evoluzione del quadro politico interno e politiche di sicurezza sempre più invasive hanno scoraggiato molti colleghi dal lavorare sul campo nel paese, oltre ad accrescere i vincoli cui sono sottoposti i colleghi cinesi. Il rischio è un impoverimento della conoscenza reciproca, proprio nel momento in cui occorre il contrario. Colleghi più anziani hanno vissuto stagioni peggiori, ma riflettendo sul mio caso specifico, non ho mai sperimentato una fase che richiedesse così
tanta attenzione».

Per Il Mulino lei ha curato il volume “Cina. Prospettive di un paese in trasformazione”. Quale trasformazione, e con quali implicazioni per l’Italia?

«La trasformazione da paese che ha conosciuto l’umiliazione di essere ridotto a semi-colonia e che oggi viene guidato da un regime leninista sulla strada di una turbo-modernità che lo porti a non essere più condizionabile da forze esterne. È un percorso a tappe forzate, con un prezzo da pagare per la società cinese e per l’ecosistema, e che lascia spesso disorientati tanto noi, quanto i cinesi stessi».

Lei ha frequentato elementari, medie e ginnasio a Chivasso: ai ragazzi che studiano oggi che consiglio darebbe?

«Di considerarsi anzitutto cittadini europei e, non appena possibile, di uscire dalla nostra zona di confort e viaggiare fuori dall’Occidente. Aiuterà a mettere in prospettiva molte cose e ad apprezzare fino in fondo il tesoro che ci è stato tramandato da chi ci ha lasciato in eredità l’Italia democratica e l’Europa unita».

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