Giusy, perdonaci: a sei mesi dal delitto non c’è un colpevole
L’assassino di Giuseppina Arena è ancora in libertà. Dal Comune, nemmeno una «panchina rossa»
Cara Giusy, in questi sei mesi non abbiamo potuto far altro che cercare le parole per chiederti scusa.
Omicidio di Giusy Arena
Sono le 18.18 di mercoledì 12 ottobre 2022 quando ai Carabinieri di Chivasso arriva la richiesta d’intervento per una donna trovata in un lago di sangue in uno spiazzo alle porte di frazione Pratoregio, ai piedi della linea ad Alta Velocità.
La prima chiamata alle Forze dell’ordine è per una «caduta dalla bicicletta», ma è subito chiaro a tutti che si tratti di un omicidio. Il medico legale accerterà poi che Giuseppina «Giusy» Arena, uccisa nel giorno del suo 52esimo compleanno, era morta da circa sei ore.
L’area viene delimitata con il nastro bianco e rosso ai militari si aggiungono man mano i colleghi del Comando Provinciale di Torino e del SIS che passano al setaccio ogni centimetro del piazzale alla ricerca di tracce utili per le indagini. T
re i bossoli ritrovati, calibro 7.65, responsabili dello scempio sul volto di Giusy.
Poco prima della mezzanotte l’area viene illuminata a giorno dalle fotoelettriche dei Vigili del Fuoco di Volpiano e Chivasso, uno scenario dantesco in cui tutti si muovono con la consapevolezza che ogni dettaglio può essere fondamentale per risolvere il caso.
Per la morte di Giusy, però, ad oggi non c’è ancora alcun colpevole.
Perdonaci
Cara Giusy, in questi sei mesi non abbiamo potuto far altro che cercare le parole per chiederti scusa.
Scusa perché il tuo assassino, chi ti ha tolto la vita nel giorno del tuo 52esimo compleanno, è ancora in libertà, e magari sta leggendo queste righe con il sorriso di chi è certo che non pagherà mai per aver premuto il grilletto, più e più volte, distruggendo il tuo volto.
Scusa perché le indagini, «condotte» e «coordinate» sono a un vicolo cieco: in questi anni abbiamo imparato che le notizie non sfuggono dai corridoi di caserme e Procure solo in un caso, quando non ci sono.
Scusa perché le telecamere, costate centinaia e centinaia di migliaia di euro, pur sorvegliando sulla carta ogni angolo della città non sono riuscite ad inquadrare nemmeno per un secondo la tua bicicletta o il furgone su cui sei salita, fidandoti di chi ti ha poi tolto la vita. Quelle telecamere non funzionano se non per far multe a chi viola la ZTL, dovremmo ormai farcene tutti una ragione.
Scusa se, come giornale, non siamo riusciti a sollevare quell’ondata di rabbia e di sdegno che segue i casi di femminicidio. Eri una «poveretta», una donna che viveva sola con i suoi cani e i suoi gatti in un alloggio fatiscente di via Togliatti. Se ne sono andati tutti, anche le troupe che in quei giorni bivaccavano sul marciapiede, dopo aver scoperto che «Giusy la cantante» non faceva serate nei locali, ma era chiamata così per la sua abitudine di «cantare», a modo suo, le disgrazie di una vita in salita.
Ti chiediamo scusa anche da parte di chi, per mesi, ti ha aiutata «materialmente» senza però mai interrogarsi di cosa potesse aver bisogno la tua mente, e senza nemmeno cercare di capire in che condizioni vivessi dietro ad una porta che si poteva aprire solo pochi centimetri, tante erano le cose ammassate in quelle due stanze.
E scusa ancora, Giusy, se una città che ha detto (sempre a favore di telecamere) di averti sempre voluto bene, non è riuscita a trovare il tempo (eppure sei mesi sono tanti sai) di dedicarti una «panchina rossa», quelle che si verniciano per ricordare le donne vittima di violenza. Sai Giusy, non ci sono elezioni a breve termine, magari alla prossima ci sarà anche una fiaccolata per ricordarti.
Scusa, Giusy, se anche queste parole cadranno nel vuoto, se il fascicolo sulla tua morte continuerà a prendere polvere nell’attesa di un miracolo o di un colpo di scena, che onestamente a questo punto crediamo poco probabile. Se qualcuno avesse avuto qualcosa da dire, spinto dal rimorso, lo avrebbe già fatto.
Scusa, Giusy, non possiamo che dirti questo.