la testimonianza

Coronavirus, infermiera di Brandizzo in un ospedale di Bergamo

«Ho visto troppe persone morire, ma vedere che qualcuno si salva mi fa andare avanti».

Coronavirus, infermiera di Brandizzo in un ospedale di Bergamo
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Coronavirus, un'infermiera di Brandizzo  racconta la sua esperienza lavorativa  nella clinica Humanitas Gavazzeni di Bergamo. «Ho visto troppe persone morire, ma vedere che qualcuno si salva mi fa andare avanti».

Coronavirus, un infermiera di Brandizzo

Da Brandizzo a Bergamo in prima linea per combattere il Coronavirus. E’ questa la storia di Sharon Barbero, 28 anni che da dicembre 2019 lavora presso la clinica Humanitas Gavazzeni di Bergamo come infermiera.

Il racconto

«Inizialmente sono stata assegnata al Blocco Operatorio Generale della struttura (al cui interno ci sono 6 sale operatorie). - afferma Sharon - All'interno del blocco vengono svolti interventi di cardiochirurgia (anche robotica), neurochirurgia, chirurgia toracica, ortopedia e traumatologia, chirurgia generale e urologia (quest'ultima anche robotica). Tutto questo prima dell’emergenza sanitaria adesso, la situazione è drammaticamente peggiorata. Attualmente per l'emergenza non sono più all'interno del blocco operatorio, ma mi hanno spostata da circa 3 settimane in cardiologia (che in realtà è una medicina poiché totalmente dedicata ai Covid positivi, così come tutti i reparti dell'ospedale ormai). E qui si apre un racconto a parte, perché la situazione attuale ha colto tutti di sorpresa. I ritmi sono davvero serrati. La completa normalità assistenziale è cancellata.  - afferma Sharon - Ci siamo tutti reinventati e abituati a cambiare ritmi, pazienti, modalità assistenziale come se niente fosse. E’ dura più che altro perché le persone sono sole e ti guardano negli occhi implorando aiuto. Le persone muoiono soffocate e hanno solo noi accanto. La paura di contrarre il virus c'è, ma la passione per questo lavoro è più forte. Ho visto la morte tante, troppe volte in queste 3 settimane. Ed ogni volta è come se il mio stesso sangue si gelasse».

Ma c'è la speranza

Sharon ha anche una gran voglia di andare avanti e la passione per il suo lavoro è più forte di ogni altra cosa.

«Ma il pensare che uno spiraglio di luce ci possa essere mi fa andare avanti. Qualcuno grazie alla terapia antiretrovirale combinata alla clorochina (utilizzata quest'ultima per la malaria) ce la fa. Ci è stato chiesto di ridurre ai minimi termini le pause perché lavoriamo bardati dalla testa ai piedi e fare una pausa, anche solo per andare in bagno a bere un goccio d'acqua, significherebbe perdere tempo prezioso per svestirsi e rivestirsi. Quindi, i turni sono tosti fisicamente e psicologicamente, perché è un continuo correre, perché passiamo turni interi senza bere, mangiare o andare in bagno. Perché le persone soffrono e ti chiedono aiuto, ma questo aiuto per tanti non c'è. Vorrei che le persone scettiche riguardo al Covid-19 o che amano andare in giro comunque e trasgredire le regole, potessero vedere anche solo per 2 ore quello che viviamo noi in ospedale. Per far capire loro cosa significhi davvero essere infettati dal virus o doverci lavorare a stretto contatto. Inoltre, mi piacerebbe che la riconoscenza che è stata dimostrata nei confronti del personale sanitario potesse continuare ad esserci anche una volta terminata questa emergenza. Perché noi siamo sempre esposti a rischi, ma nonostante questo andiamo a lavorare a testa alta, semplicemente perché questo è il nostro lavoro e amiamo farlo».

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