Claudio Geda, una vita intera con il camice cucito addosso
Venerdì 25 è stato l’ultimo giorno in reparto del primario che ha raggiunto la meritata pensione. A Chivasso lascia un’impronta profonda
Più che un medico è un appassionato del suo lavoro. Professionista serio, gentile ha fatto anche lui la storia dell’ospedale di Chivasso. Claudio Geda primario di neurologia lascia un’impronta determinante nei colleghi e nei pazienti.
Una vita con il camice cucito addosso. Venerdì 25 è stato il suo ultimo giorno in corsia. E’ tempo di pensione.
Geda, una vita con il camice
Può raccontarci come è iniziata la sua carriera medica?
«La “mia vita con il camice” iniziava l’11 novembre del 1979, giorno della mia laurea, presso la Clinica Neurologica dell’Università di Torino dove ero stato incaricato con il ruolo di Medico Interno e dove sono rimasto fino al 1981 quando la vita mi poneva di fronte ad un bivio lavorativo fra la neuropatologia della Clinica Neurologica dell’Università di Milano ed Ivrea presso la SC di Neurologia. Decidevo di intraprendere la via eporediese in un ospedale di eccellenza, dove, con “la carota e il bastone”, imparai ad affrontare quello che negli anni sarebbe diventato il mio lavoro. Per mia fortuna, incontrai un gruppo di meravigliosi professionisti guidati dal dottor Giancarlo Ferrari».
Com'è stata la sua esperienza senza le moderne tecnologie di oggi?
«Non esisteva la TAC, non esisteva la Risonanza e tutto si svolgeva utilizzando le basi mediche che hanno accompagnato nei secoli l’arte medica fatta di conoscenza, intuizione e buon senso».
E poi, come è iniziata la sua avventura a Chivasso?
«Nel 1986 iniziavo la mia attività presso l’Ospedale di Chivasso quale consulente Neurologo. Poi a giugno del 1999 venivo nominato Primario della SC di Neurologia. Quale sorpresa la mia prima esperienza chivassese... Medici di prim’ordine, molti dei quali diventeranno successivamente a loro volta Primari, con i quali era un onore collaborare ed un piacere e negli anni si creavano rapporti di amicizia “fraterni”.
Il primo giorno lo ricordo con molta nostalgia, ero dotato oltre che del mitico camice di un unico strumento che non abbandona mai un Neurologo, il martelletto, e di una compagnia preziosa che voglio ricordare con tutto il mio affetto e riconoscenza la Maura Cobetto che mi trovò una scrivania in un deposito sperduto, mi supportava con l'elettroencefalografia e mi incoraggiava, instancabile nel lavoro, sempre coinvolta e coinvolgibile, umilmente efficiente».
Com'è cambiato il reparto di neurologia negli anni?
«Grazie all’aiuto di tutti la nostra crescita lenta ma progressiva ci ha portato a un reparto all’onore del mondo Neurologico, riconosciuto da tutti i colleghi della Regione. Un reparto che è riuscito in un periodo molto difficile a superare eventi critici, i rientri economico-finanziari sanitari, le epidemie, le fisiologiche turbolenze di personale. Un ringraziamento particolare va alle amministrazioni che si sono succedute in questi 25 anni, in particolare a Renzo Secreto, a Nadia Marello e alla meravigliosa assistente sociale Mariella Spranzi, che con la loro presenza mi hanno sempre permesso di vedere il bicchiere mezzo pieno nonostante le difficoltà.
Un ricordo che avrò sempre è quello della Chivasso sociale e dell’accoglienza nel tessuto cittadino e nel mondo del volontariato con la SAMCO, con Libero Ciuffreda e la mitica Ginetta Dondero che mi hanno introdotto alla conoscenza medica nel campo delle cure Palliative.
In questi 25 anni la Medicina ha fatto passi da gigante sia nelle tecnologie con la TAC e la Risonanza Magnetica, e poi con l’avvento di nuove terapie risolutive di patologie importanti. Ora anche la Neurologia non è più la cenerentola, è una disciplina che in tutti i campi dall’Ictus alla Malattia di Parkinson, all’Epilessia, alla Sclerosi offre opzioni terapeutiche risolutive».
Ci può raccontare un episodio significativo della sua carriera?
«Certo, uno dei ricordi più vividi riguarda i primi anni del 2000, quando cominciammo a utilizzare un trattamento trombolitico per l'ictus ischemico, ispirato dai cardiologi. Una mattina arrivò in DEA a Chivasso una giovane donna, soccorsa dalle forze dell'ordine e dal 118, che fu la nostra prima paziente sottoposta a questo trattamento. Fu un successo straordinario, permettendo il completo recupero della paziente. Eravamo uno dei primi ospedali in Piemonte ad avere l'autorizzazione per l'uso del farmaco. E con questo voglio ricordare il merito di tutti coloro che partecipavano con spirito di collaborazione che permetteva di superare le esigue possibilità dell’edificio nel quale operavamo. Ma le donne e gli uomini sono spesso più importanti della loro localizzazione nella collaborazione reciproca e professionale e qui voglio ricordare due persone in particolare il primario della medicina, Bertello e il primario della rianimazione Enzo Castenetto. Con lui ho vissuto un lungo e proficuo percorso professionale fatto di soddisfazioni, aspre discussioni ma sempre con l’unico fine di curare al meglio delle nostre possibilità».
Come ha affrontato le sfide degli ultimi anni, come l'epidemia di COVID-19?
«L'epidemia di COVID è stata una delle sfide più difficili. La collaborazione tra sanitari e l'aiuto reciproco sono stati fondamentali per superare l'emergenza. Abbiamo perso colleghi, amici e amiche, che ci hanno lasciato ricordi meravigliosi e indimenticabili. Ognuno di loro ha un posto speciale nel mio cuore. Menzionarli tutti mi è impossibile, ma restano nei miei affetti più profondi.
Dimenticavo che dal 2008 mi veniva assegnata anche la Neurologia di Ivrea dove aprivo un altro capitolo di lavoro, pur non trascurando Chivasso dove fortunatamente un eccellente professionista ed amico fraterno Massimo Barra mi consentiva con la sua professionalità associata ad umanità di mantenere e di continuare a crescere.
I “Ragazzi-e Neurologi” di Chivasso per me sono un po' come figlioli a cui ho cercato di trasmettere la mia idea di Medicina e di Neurologia e per i quali provo un’immensa gratitudine ed orgoglio per la loro crescita come persone e quindi come Neurologi sono ancora lì a fornire l’eccellente assistenza medica di cui sono sicuramente capaci».
Cosa consiglia al suo successore?
«Mai demoralizzarsi nei rapporti con il mondo che ci circonda anche se talora sembra ostile e nei momenti più difficili concentrare la propria attenzione sui pazienti che curiamo, loro non ci deluderanno mai avranno sempre bisogno di noi della nostra capacità acquisita con la scienza e, oso dire soprattutto, della nostra capacità umana di assisterli e condividere le loro sofferenze».
Cosa le mancherà di più?
«Il contatto umano con tutte le persone con cui ho collaborato e che sono state parte della mia vita. Un pensiero speciale va alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto, permettendomi di mantenere equilibrio e resilienza anche nei momenti più difficili. Grazie Di, Thom e Anna».