Eva, la donna che per lo Stato non esiste
Arrivata da bambina in Italia con dei Rom, che credeva parenti, è riuscita a scappare e a farsi una famiglia.
Eva, la donna senza storia: «Ditemi chi sono». Arrivata da bambina in Italia con dei Rom, che credeva parenti, è riuscita a scappare e a farsi una famiglia. Ma per lo Stato, lei non esiste.
Eva, la donna che per lo Stato non esiste
Un grande, immenso, dramma umano che si scontra con una burocrazia che sembra essere indegna di un paese civile.
Questa è la storia di Eva (o Eda) Alina Marin (non sa nemmeno se questo sia davvero il suo nome), molto probabilmente venduta dai genitori, quando aveva appena sette anni, a una coppia di Rom che lei credeva invece essere zii materni. Con loro, partendo dalla Romania, arriva in Germania, poi in Francia e infine in Italia, a Torino. Da loro, che la trattano come una serva, è costretta a chiedere l’elemosina, a lavare i vetri ai semafori e a rubare. Ma Eva, che non dimenticherà mai gli altri due bambini che erano con lei, molto probabilmente venduti da altre famiglie, dopo otto anni di inferno decide che non è quella la vita che vuole.
Scappa, chiede aiuto alle suore Vincenziane di via Nizza, tramite gli assistenti sociali finisce in una comunità in Val Cerrina. Passano gli anni, Eva vede la condanna dei suoi aguzzini, inizia a lavorare, stringe tra le mani un atto di nascita a nome Eva e ottiene un passaporto dall’ambasciata della Romania a Roma.
La strada, però, è subito in salita. Due anni dopo, chiedendo il rinnovo del passaporto Eva scopre che l’atto di nascita (registrato il 4 ottobre) corrisponde a un’altra persona, e che nemmeno la data (20 agosto del 1983) sembra essere certa.
Il racconto
«Non so chi sono - racconta Eva / Eda - ero troppo piccola per avere ricordi precisi. Posso dire che quando festeggiavo il compleanno faceva caldo... E’ dal 2002, da quando cioè trovarono in Romania una donna a cui “appartenevano” i dati che mi erano stati attribuiti, che io non ho più una identità. Mi chiamavano Eda, di questo ne sono sicura, ma altro non posso dire.
Per me, ogni volta, è una ferita enorme: non posso avere documenti, e quando riesco ad ottenerli durano due anni, non posso rinnovare la patente, non posso nemmeno avere un medico di base o iscrivere i miei figli a scuola. Ho lavorato per una azienda, a Casale, poi quando sono emerse le difficoltà dei documenti sono stata licenziata da un giorno all’altro, e quasi sicuramente non vedrò un centesimo dei contributi versati, legati a un codice fiscale che non ho più.
Una soluzione potrebbe essere il dichiararmi “apolide”, ma su alcuni documenti risulto nata in Romania (anche se l’Ambasciata non è riuscita ad identificarmi e non mi riconosce come sua cittadina) e quindi questo è impossibile».
Abbiamo provato a contattare l’Ambasciata di Romania a Roma e il Consolato Generale di Romania a Torino, e la macchina burocratica sembra essersi messa in movimento.