Ora è davvero un GIGANTE. Fabrizio Valle, classe 1972, Medico Veterinario, ha conquistato il Tor des Géants, portandosi a casa quella maglia con la scritta Tor X Finisher e una medaglia che racchiude mesi di fatica, sudore, notti insonni, chilometri percorsi tra corse e camminate. Giorno e notte. Un viaggio leggendario. Nessuna parola riesce a spiegare la grinta dei runner che affrontano questa gara.
Come è nata l’idea di affrontare il Tor?
«Dopo vent’anni di corse e trail in montagna sentivo che quella era la gara iconica. A gennaio, in un momento di follia, mi sono iscritto. Avendo completato il Gran Trail Courmayeur nei tempi, avevo diritto ad accedere a uno dei cento pass riservati. E ce l’ho fatta. Da lì è iniziato il vero Tor, che va ben oltre i 330 chilometri: mesi di preparazione, sacrifici e gare per testare la preparazione».
Ci racconti il Tor?
«Il Tor des Géants è un trail di circa 330 km (in realtà più vicino ai 350) con un dislivello complessivo di 24 mila metri. Un anello che parte da Courmayeur, si snoda lungo l’Alta Via 2 fino a Donnas e risale lungo l’Alta Via 1, di nuovo a Courmayeur. Si attraversano 25 colli oltre i duemila metri, con altitudini che vanno dai 300 ai 3300 metri. Io sono partito domenica 14 settembre alle 10. In totale gli iscritti erano 1200, ma solo 770 sono arrivati alla fine. Ogni 7-10-15 km ci sono punti ristoro e, ogni 50 km circa, una “base vita” dove puoi mangiare un pasto caldo, farti una doccia, ricevere massaggi e dormire qualche ora».
L’assistenza e l’accompagnamento sul percorso son vietati. Come ti sei preparato?
«Una volta iscritto, la preparazione è mentale e fisica. Ho letto libri e seguito le esperienze di chi aveva già partecipato, per capire i punti critici. In primavera ho iniziato con uscite mirate in montagna, gare di avvicinamento e tanti allenamenti in quota. Fondamentale è stato il supporto del gruppo “Quei bruciati dei Castelli Bruciati”, con Enzo Brusasca, il presidente, che mi ha motivato con il suo motto: “Che il sentiero possa scorrere veloce e leggero sotto ai tuoi piedi”. Un grazie speciale agli amici con cui mi sono allenato: Luca Conrado, Mauro Rissone, Michele Gabba, Ezio Zattarin Andrea Aliquòe Andrea Maseri. Abbiamo macinato chilometri soprattutto di notte, per abituarci al buio e alla mancanza di sonno».
Le sensazioni in gara?
«Alla partenza ero speranzoso, il mio obiettivo era solo portarla a termine. Poi inizi il viaggio interiore: resti solo con le tue paure e con la fatica. Devi curare alimentazione e sonno. È un’esperienza condivisa con atleti di 70 Paesi, e lungo il percorso nascono amicizie inattese. Ho corso per 30 chilometri a fianco di un atleta brasiliano. Ricordo al primo passaggio ai 25 km, quando ho visto i ragazzi della MDC-Stramandriamo e i miei familiari: mi hanno trasmesso una grinta incredibile. Ho dormito pochissimo: 20 minuti la prima notte idem la seconda, un’ora e mezza la terza e la quarta. Arrivano allucinazioni notturne: vedevo pesci, animali, piante che sembravano persone. Ma appena ti riscaldi e ti rimetti in marcia, passa tutto».
Il momento più difficile?
«Momenti di crisi veri e propri non ne ho mai avuti. Il giorno più difficile martedì, per via del caldo. “Alla base vita” di Donnas mi hanno detto che sembravo invecchiato di dieci anni. Ma il momento più emozionante è stato al Colle Malatrà, a 20 km dall’arrivo: l’ultimo tremila, da cui vedi fisicamente la discesa… e la fine del tuo viaggio».
I ringraziamenti?
«Sono tantissimi. Quello di cui sono contento è che stato un magnifico viaggio condiviso. Un grazie prima di tutto agli amici con cui ho condiviso l’allenamento, in particolare Luca Conrado, il mio “padrino” del Tor per via di tutti i consigli dati!. Poi il gruppo di Mandria che mi ha sostenuto sia di persona sia a distanza e gli amici Ivan, Patrik, Riccardo, Edoardo, Cristian e Marco presenti sul percorso. Infine la mia famiglia, che ha rinunciato alle ferie per permettermi di vivere quest’avventura, e mio figlio Samuele, il motivatore numero uno. All’arrivo sono stato inondato da messaggi e complimenti inaspettati. Una gioia immensa».
E ora?
«Adesso mi prendo un anno sabbatico, poi si vedrà. Ci sono tante gare e tanti trail iconici ancora da vivere. Ma il Tor rimarrà il viaggio più incredibile della mia vita».