«Mio figlio era in rianimazione e non potevo lavorare per stargli vicino: aiutatemi»
L’Odissea di Marian Feraru che ha dedicato tutto se stesso per le cure del suo primogenito
L’Odissea di Mario Feraru. Potrebbe essere questo il titolo della vicenda che vede protagonista un ventenne di Chivasso, i suoi genitori Marian e Aurelia Daniela e la sorella minore. Nei giorni scorsi la mamma e il papà di Mario ci contattano perchè vogliono far conoscere a tutti la loro storia, una vicenda dai tratti quasi surreali, un racconto che fa riflettere e che vede la vita di questo giovane cambiare da un giorno all’altro e con esso anche quella dei suoi familiari che gli sono sempre accanto.
La storia di Mario
«Mario è nato nel 2004 in Romania, paese di origine mio e di mia moglie - inizia così Marian - Lì lavoravamo e avevamo la nostra famiglia vicina. Nostro figlio è nato con la sindrome di Chiari, una malformazione molto rara e così nel 2007 abbiamo deciso di trasferirci in Italia dove Mario avrebbe trovato le cure idonee alla sua patologia. A Chivasso siamo stati da subito accolti bene, ci siamo integrati, abbiamo trovato lavoro e nostro figlio, tra numerosi interventi, ha iniziato le scuole dove ha intrecciato una serie di amicizie molto importanti per lui. I chivassesi ci hanno aiutati, siamo anche stati ricevuti dal sindaco di quel tempo che ci ha sostenuto in maniera attiva. Numerosi sono stati gli interventi a cui è stato sottoposto. Grande è stata la professionalità e l’umanità dei medici che abbiamo incontrato sul nostro cammino sia all’ospedale infantile Regina Margherita che alle Molinette. Non sono mancati momenti critici. Durante un intervento gli avevano toccato il midollo, il medico ci aveva spiegato subito le sue responsabilità e la situazione che ci saremmo trovati ad affrontare. Noi abbiamo compreso, abbiamo intrapreso un percorso di riabilitazione e quando Mario uscì dall’ospedale camminava di nuovo, aveva recuperato tutto. Quella dottoressa era stata eccezionale».
Gli anni passano a Mario prosegue la sua vita di bambino, poi adolescente sino a febbraio 2024 quando si reca con la sua famiglia fuori regione per un intervento che prevede una degenza di sei giorni. All’apparenza niente di particolarmente complicato: devo creare uno spazio maggiore tra colonna vertebrale e collo.
«Ci accorgiamo subito che qualcosa è andato storto - dice Marian - Mario è in terapia intensiva, la lingua è gonfia e fatica a respirare. In oltre 20 interventi non ci siamo mai trovato davanti ad una simile situazione. I medici dicono che Mario si è morso la lingua da solo, ma comprendiamo subito che le cose stanno diversamente, che Mario è stato intubato con un tubo troppo grande. In quel letto Mario inizia ad avere le piaghe da decubito. Sono vani i tentativi di estubazione. Viene spostato in un altro ospedale qui la situazione non migliora affatto. I medici non ci danno spiegazioni esaustive. Noi continuiamo a stare accanto a nostro figlio. L’auto davanti all’ospedale piena di effetti personali, mangiamo dove capita e tramite un’associazione riusciamo a trovare da dormire a 20 euro a persona al giorno. Poi, troviamo un pernottamento gratuito, le spese ci sono e io, vista la situazione drammatica non posso lavorare. Un giorno arrivo in ospedale e Mario era stato spostato in terapia intensiva e i miei effetti personali, che sino a poco prima erano nella camera in cui era ricoverato Mario (io ero ricoverato con lui per poterlo assistere), erano finiti in un sacco, in uno sgabuzzino. Praticamente mi avevano sbattuto fuori dalla struttura perchè in quel momento Mario non aveva più bisogno della mia assistenza poiché si era aggravato. Chiediamo di essere trasferiti in un ospedale a Torino, ma nulla. Almeno sino al 17 aprile quando Mario arriva in ospedale a Torino. Oggi ha la tracheotomia, è in sedia a rotelle e collegato ad una peg per essere alimentato. A Torino gli viene riparata la fistola che era stata danneggiata. Mario ora prosegue con le sue sedute di fisioterapia». Ad aggravare la situazione c’è anche la questione economica. La famiglia Feraru non riesce a far fronte alle spese derivanti dal pagamento delle utenze domestiche e così decide di rivolgersi in Comune e al Ciss. «Mi dicono che non possono darci una mano perchè nel 2023 avevamo un reddito - dice la mamma di Mario - ma è adesso che noi abbiamo bisogno di aiuto. Non abbiamo mai chiesto nulla, ma adesso non possiamo farne a meno. Veniamo mandati da un ufficio all’altro, ma senza successo. Nessuno ci da una mano per pagare le bollette. E’ questo in sostanza di cui abbiamo bisogno. Mio marito dal giugno ha ripreso a lavorare, ma le spese invernali sono state molte».
Raccontiamo la nostra vicenda sia legata a questo caso di malasanità che della burocrazia che regna tra i vari enti. Noi non abbiamo mai chiesto nulla al Comune, ma adesso eravamo proprio in difficoltà - prosegue Aurelia - Mi dicono possono fornirmi un aiuto a seguire Mario, ma io non ho bisogno di quello, io devo pagare le bollette. Adesso siamo in attesa di un ulteriore intervento a Torino, in modo tale che mio figlio posso rialzarsi e riprendersi in mano la sua esistenza perchè tutta questa degenza gli ha anche fatto perdere un anno di scuola. Adesso Mario vuole ritornare sui banchi di scuole, vuole incontrare i suoi amici e a tal proposito devo ringraziare la famiglia Cazzamani che ci è sempre stata accanto, ci ha aiutati e Marco viene in auto a prendere Mario per portarlo in auto».
Mario ha i sogni di un ragazzo di vent’anni. Rivuole la sia vita, le sue amicizie e tornare a seguire il calcio, sport che tanto lo appassiona. E questo glielo dobbiamo.