Una notizia improvvisa quanto inattesa ha sconvolto il chivassese: l’improvvisa scomparsa di Gianluca Bocca, classe 1967, storico macellaio di Casabianca di Verolengo e anima dell’associazione Angelo Biondo, fondata in memoria del figlio Stefano.

Addio a Gianluca Bocca, anima dell’Angelo Biondo Onlus
Stando alle prime informazioni Gianluca Bocca sarebbe stato colto da malore nel primo pomeriggio di oggi, domenica 23 novembre, nella sua abitazione. L’allarme è stato lanciato dalla moglie Laura Salvetti, che con lui ha sempre condiviso il grande impegno nel sociale. Inutile l’intervento del 118, sul posto con un’ambulanza medicalizzata della Croce Rossa di Chivasso.
Dopo il dolore, l’impegno nel sociale
Come detto, dopo la morte dell’amato figlio Stefano, Gianluca Bocca (con la moglie) aveva trasformato il dolore in un grande impegno nel sociale. Non si contano le donazioni fatte dall’associazione l’Angelo Biondo all’ospedale di Chivasso, così come le iniziative che lo hanno visto accanto ad altre importanti realtà del territorio, come gli Alpini.
L’ultima iniziativa
L’ultima iniziativa dell’associazione, presentata poche settimane fa, ha come titolo «Festeggia il Natale con un regalo solidale», e propone l’acquisto di dolci natalizi artigianali per sostenere progetti di assistenza sanitaria pediatrica. L’iniziativa ha un obiettivo di raccolta fondi stimato in circa 10.000 euro , destinato a finanziare due progetti specifici .
Una parte del ricavato sarà utilizzata per l’acquisto di una sonda necessaria per effettuare gli Esami di Otometria (controllo delle emissioni dell’udito) sui bambini.
L’altra parte servirà ad acquistare ulteriori dispositivi per ampliare il Sistema di Telemetria che era stato donato dall’Associazione l’anno precedente al reparto di pediatria dell’Ospedale di Chivasso.
“Diversamente Fortunati”
La vita di Gianluca Bocca e della sua famiglia è racchiusa in un libro, “Diversamente Fortunati”, presentato nel 2019 ma scritto undici anni prima, quando ancora lottava al fianco di Stefano con sua moglie Laura.

Stefano era un ragazzo con la passione per la musica, i motori e il giornalismo, un ragazzo buono che la vita ha messo di fronte a mille sfide, sin dalla nascita. Un ragazzo che con la sua scomparsa ha lasciato un grande vuoto nella sua famiglia e nei suoi amici ma che vive in ognuna di queste persone.
Sei anni dopo la sua scomparsa, Gianluca aveva deciso si scrivere quel libro “Perché nel corso di questi anni – ci aveva raccontato – mi è capitato di vivere alcune situazioni molto particolari e aver incontrato persone speciali. Dunque, scrivevo per capire, se io mi fossi trovato dall’altra parte, se avessi agito nella stessa maniera. Un testo che mi è servito per scaricare le tensioni, per riportare le cose che vivevo e vedevo in quegli istanti. In maniera particolare il rapporto che c’era con Stefano, non per elogiarlo ma per descrivere quello che tra noi era nato durante la malattia.
Un rapporto che si basava sull’estrema sincerità all’interno della nostra famiglia perché Stefano era a conoscenza di tutto quello che succedeva, condividevamo le decisioni che molto spesso Stefano ha voluto adottare, discutendone sempre insieme.
Parlavamo delle cose più banali ma anche delle più serie, come le tante terapie alle quali si è sottoposto. Ci sono alcune lettere, quei testi che io scrivevo a Stefano perché reputavo utile che lui potesse rileggere, riflettere più volte, suoi messaggi che gli davamo.
E lui, spesso, ci rispondeva con lo stesso strumento.
Insomma, questo libro è un modo per raccontare che per un figlio si va anche contro i medici, come quando noi abbiamo scelto di permettere a Stefano di tornare a scuola anche se era in condizioni precarie. Ma credevamo fosse importante per lui la vicinanza dei suoi compagni, e così è stato. Voglio che questa storia aiuti le persone che vivono questi momenti, non l’ho pubblicato per vedere il mio nome sulla copertina di un libro. Diversamente fortunati, il titolo -è stato pensato perché io non credo che Stefano sia stato un bambino e poi ragazzo sfortunato, bensì “diversamente fortunato” come dissi un giorno ad un prete che gli fece visita mentre era in ospedale».