A CHIVASSO

La Caritas nega gli aiuti a chi vive alla Coppina

Il caso è esploso dopo che numerose famiglie hanno iniziato a telefonare al numero indicato sul volantino distribuito in città.

La Caritas nega gli aiuti a chi vive alla Coppina
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La Caritas di Chivasso nega gli aiuti a chi vive alla Coppina. Il caso è esploso dopo che numerose famiglie hanno iniziato a telefonare al numero indicato sul volantino distribuito in città.

La Caritas nega gli aiuti a chi vive alla Coppina

«Questa è una guerra tra poveri. Se hanno dei problemi fra di loro, li risolvano senza farli ricadere su di noi».
Quella di giovedì 18 giugno è una data che resterà a lungo impressa nella mente di chi, già con gli occhi bassi per dover chiudere aiuto per mettere un piatto di pasta sulla tavola dei propri figli, ha subito l’umiliazione di una porta chiusa in faccia, o meglio, di un telefono staccato. Ma andiamo con ordine.
La durissima crisi legata all’emergenza Coronavirus ha costretto moltissime persone (anche chi fino a marzo aveva una vita tranquilla e uno stipendio regolare) a chiedere aiuto alle istituzioni non solo per avere un aiuto economico, ma anche per riempire frigorifero e dispensa.
E così, cresciuto a dismisura il lavoro di Caritas, Croce Rossa e altri enti, tutti hanno visto di buon occhio l’iniziativa «Spesa Solidale» promossa dalla UILDM di Chivasso con la collaborazione di numerose associazioni cittadine, impegnate nel reperire i generi alimentari da distribuire ai bisognosi (su appuntamento) nella sede della Quintana del Cedro. A gestire la distribuzione, volontari che fanno capo alla «Caritas interparrocchiale» di Duomo - don Davide Smiderle, San Giuseppe Lavoratore (Blatta) e Madonna di Loreto (Cappuccini) - don Tonino Pacetta.

Il caso

Tornando a giovedì, ma spostandosi dall’altro capo della città, nei saloni della parrocchia della Madonna del Santo Rosario guidata da don Gianpiero Valerio, una chivassese che chiameremo Maria bussa alla porta del «Banco alimentare» per ricevere alcuni prodotti per l’infanzia offerti dall’Avulss.
Nel pacco, anche il volantino della «Spesa Solidale», con i riferimenti a cui chiedere aiuto per generi alimentari a lunga conservazione e prodotti di prima necessità.
«Quando ho visto quel volantino - spiega Maria - mi è venuto un tuffo al cuore. Non è un grande periodo (io e mio marito siamo a casa senza stipendio da fine febbraio) e tutto può essere un aiuto concreto per me e i miei figli. Ho subito composto quel numero, e mi ha risposto la Caritas della Madonna di Loreto. Ho spiegato il mio caso, come avessi avuto il loro numero, e la risposta è stata secca: “Non possiamo aiutarla, lei abita nella zona seguita dalla parrocchia della Coppina, si rivolga a loro”».
Una risposta che ha lasciato di stucco sia Maria che chi ha ascoltato la telefonata, tanto che pensando ad un errore nelle ore successive altre persone (residenti tra via Ajma e via Togliatti) hanno contattato quel «331» ottenendo la stessa risposta. L’unico ad aver ottenuto un appuntamento è un parrocchiano residente in corso Galileo Ferraris, e quindi non immediatamente identificabile con la Coppina.
«Questa chiusura mi ha fatto venire le lacrime agli occhi - conclude Maria - se i problemi sono altri, e qui immaginiamo tutti quali, se li risolvano tra loro».

L'assessore

Quanto accaduto è arrivato anche alle orecchie di Claudio Moretti, assessore al welfare del Comune di Chivasso.
«Quando è nato il gruppo di volontari della “Spesa Solidale” - spiega - io sono stato invitato all’inaugurazione e ho subito detto come questa potesse essere l’occasione per mettere la parola fine alla separazione delle aree di competenza fra le varie associazioni che si occupano di distribuire generi alimentari alle famiglie. Ho sentito una curiosa espressione, “I miei poveri e i tuoi poveri”, e ho ribadito che avrei invece gradito un unico elenco di beneficiari».
Nulla più, per essere precisi, di ciò che da anni chiede Bruno Borsano nel suo ruolo di presidente della Croce Rossa di Chivasso.
«Ho contattato tutti i referenti delle associazioni - prosegue Moretti - ma loro mi hanno risposto di voler continuare così, e di voler valutare solo in secondo tempo se e come far confluire tutti i nomi in un unico database.
Ora siamo nella fase in cui il Comune deve decidere se fare o meno arrivare dei fondi alle associazioni che si occupano di distribuire il cibo: questa potrebbe essere l’occasione per una riflessione globale, perché mettendoci dei fondi il Comune deve poter dire la sua».

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