Licenziata perché voleva diventare mamma: «Troppi giorni di mutua? No, erano solo le cure...»
Prima il trasferimento, poi la doccia fredda dopo aver perso il bambino. Ora si è affidata a un legale
Anna, licenziata perché voleva diventare mamma: «Troppi giorni di mutua? No, erano solo le cure...». Prima il trasferimento, poi la doccia fredda dopo aver perso il bambino. Ora si è affidata a un legale.
Licenziata perché voleva diventare mamma
«Dopo sei tentativi e venti mila euro spesi ce l’avevo fatta, stavo per diventare madre.
Non dovevano farmi questo, io volevo solo tornare al lavoro con i pasticcini e festeggiare con chi mi ha sempre fatto credere di volermi bene...».
Anna (nome di fantasia), nemmeno trent’anni, è una ex dipendente di un colosso della idrotermosanitaria con sede anche a Chivasso.
Si è affidata a un legale
Si è affidata a un legale, Alexander Boraso, per impugnare il licenziamento avvenuto «Per superamento del periodo di comporto». In parole povere «troppa mutua», anche se il caso di Anna non è quello di una malata immaginaria o di una furbetta del cartellino: lei voleva solo un figlio, e tutte quelle assenze (giustificate ad una a una) erano legate alle cure per la fecondazione assistita, che non hanno nulla a che fare con la mutua e come tali non devono essere conteggiate.
Assunta nel 2017 come tirocinante, nel 2018 il suo contratto è diventato a tempo indeterminato e nel 2019 è stata trasferita a Chivasso.
Il racconto
«Qui - racconta - è iniziato il mio calvario. Non potendo avere figli, con il mio compagno mi sono rivolta ad un centro per la procreazione assistita. L’ho subito comunicato al mio “capo”, e mentre davanti a tutti mi stendeva il tappeto rosso alle spalle scriveva in sede (ho visto le mail) chiedendo “Toglietemela dai piedi”.
Se piangevo mi abbracciava, mi difendeva, poi sui social mi prendeva in giro perché ero ingrassata (per colpa delle cure sono passata da una taglia 38 a una 42) pubblicando anche una foto mentre mangiavo una brioches.
Per le cure ho sempre utilizzato i giorni di ferie, autorizzata dal mio responsabile, a cui avevo anche proposto di mettermi in aspettativa. Le risposte, sempre le stesse: “Stai tranquilla, non ci sono problemi”. E quel che dico è suffragato dalle buste paga, in cui risultano sia le ferie che i permessi, assolutamente mai contestati.
A un certo punto ho iniziato a dover fare dei monitoraggi, e il mio responsabile non credeva che lo sapessi da un giorno all’altro. Purtroppo è così.
Dopo una puntura stavo bene, dopo un’altra male, una volta sono addirittura finita in ospedale.
A questo punto sì, sono rimasta a casa in mutua. Ho riproposto l’aspettativa, ma ha replicato di usare le ferie. E intanto ha iniziato a fare colloqui per sostituirmi (tutte figlie di suoi amici), proponendomi di salire dagli uffici all’esposizione.
Ho rifiutato (avrebbero potuto licenziarmi per un eventuale basso fatturato) e allora mi hanno proposto un trasferimento in altra sede.
Nel giugno del 2022 mi chiamano dall’ospedale Valdese, e inizio lì un nuovo percorso con l’Asl, dopo quello fatto privatamente.
Ripropongo per l’ennesima volta l’aspettativa, mi risponde di usare le ferie, e finalmente resto incinta.
Lo scopro giovedì, venerdì prendo ferie, lunedì torno al lavoro e mi sento male. In serata vado al Pronto Soccorso, mi ricoverano e dopo 15 giorni torno al lavoro.
Cosa trovo? Una lettera di trasferimento a Torino dal primo settembre.
Sto male, inizio ad urlare “Sai che sono incinta e mi fai questo?” e il mio responsabile dà la colpa al suo capo. Non è vero, come ho detto avevo visto le mail.
Continuo a lavorare. Perdo il bambino. Entro in malattia. Mi licenziano».
Questa è la storia di Anna, licenziata solo perché voleva diventare madre.
La replica dell'azienda
Questa la replica dell’azienda, a cui abbiamo chiesto un confronto: «Perdoni, ma Lei non ha alcun titolo per intervenire o essere messo al corrente di situazioni riferite a terze persone, a tutela delle quali esiste una privacy che La esclude come interlocutore».
Probabilmente non aveva voglia di rispondere...