‘Ndrangheta, il Tar rigetta il ricorso di un’azienda locale: c’è il rischio di infiltrazioni
Sono passati undici anni dalle sirene delle operazioni «Minotauro» e «Colpo di Coda», ma i loro effetti sono sempre attuali.

Sono passati undici anni dalle sirene delle operazioni «Minotauro» e «Colpo di Coda», ma i loro effetti sono sempre attuali.
‘Ndrangheta, il Tar rigetta il ricorso di un’azienda locale
E’ stata pubblicata lo scorso 4 marzo, infatti, la sentenza della Prima Sezione del Tribunale Amministrativo Regionale per il Piemonte sul ricorso presentato da un’impresa edile della zona (gli stessi giudici hanno cancellato ogni elemento utile per la sua identificazione) per l’annullamento «del provvedimento del Prefetto di Torino con il quale veniva disposto il rigetto dell'istanza della società ricorrente, per l'iscrizione nell'elenco dei fornitori, prestatori di servizi ed esecutori di lavori (c.d. white list) istituito presso la medesima Prefettura e la contestuale cancellazione della medesima dall'elenco delle imprese richiedenti l'iscrizione».
C’è il rischio di infiltrazioni
«La ricorrente obietta - si legge nella sentenza - in particolare, che i fatti riportati nel provvedimento impugnato dai quali il Prefetto ha tratto il proprio convincimento per negare la richiesta di iscrizione proveniente dalla ricorrente riguarderebbero esclusivamente il dipendente - Tizio - e le sue presunte, ma risalenti, frequentazioni, tuttavia non coinvolgerebbero in alcun modo l’impresa o i soggetti aventi ruoli decisionali o dirigenziali all’interno della compagine aziendale. Aggiunge, altresì, la società che i due sparuti episodi avrebbero dovuto essere posti in correlazione con il contenuto dei rapporti informativi del Comando provinciale Carabinieri e del Nucleo polizia economico-finanziaria della Guardia di finanza, da cui non emergono elementi ostativi ai sensi della normativa antimafia, né il solo rapporto di coniugio parrebbe di per sé sufficiente a veicolare agevolmente l’illecita ingerenza della criminalità organizzata nelle scelte decisionali di impresa».
L’impresa, poi, sostiene «La carenza di elementi sintomatici di collegamento tra le vicissitudini elettorali del Comune di Chivasso, in occasione delle quali furono esercitate pressioni da parte del - Caio - sulle compagini politiche, da un lato, e la sfera imprenditoriale di riferimento del -Tizio-, dall’altro».
«Orbene, nel caso di specie, il - Tizio - è stato intercettato due volte nell’arco di un ragionevolmente contenuto lasso di tempo (17 maggio 2011 e 10 febbraio 2012) nell’atto di interloquire confidenzialmente con -Caio-, esponente della locale consorteria di ‘ndrangheta di - Sempronio -, condannato alla pena di anni 9 di reclusione per il delitto associativo di cui all’articolo 416-bis dalla Corte di appello di Torino».
Politica e malavita
«Il tenore delle conversazioni intrattenute - si legge ancora - il cui oggetto verteva sui risultati della tornata elettorale al comune di Chivasso, a cui era candidato lo stesso - Tizio - per una lista civica unitamente al fratello di - Caio -, testimonia la sussistenza di un rapporto all’insegna della confidenzialità e della piena consapevolezza e condivisione delle dinamiche mafiose orbitanti intorno alla campagna elettorale: dalle risultanze penali emerge che la consultazione elettorale risultava esser stata inquinata dalle manovre poste in essere dalla consorteria criminale mossa dall’intento di infiltrare candidati in varie liste e di renderne decisivo l’apporto per controllare gli esiti ai ballottaggi.
Ne consegue che i contatti telefonici e ambientali intercorsi tra il - Tizio - e il - Caio - comprovano l’esistenza di un rapporto che traguarda la semplice occasionalità ed esorbita dalla mera conoscenza o amicizia per trasmodare nella cointeressenza alla manipolazione degli esiti elettorali – essendo lo stesso - Tizio - candidato in lista con un congiunto del - Caio -. (...) Il mosaico si compone e si completa con il legame che unisce - Tizio - all’impresa odierna ricorrente: come emerge -Tizio- è dipendente part time, a far data dal 23 gennaio 2019 della società che, si badi bene, reca il suo cognome nella denominazione ragione – e, in via vieppiù assorbente, è coniuge convivente della signora - Tizia - che dispone della totalità del capitale sociale nonché dei poteri di amministratrice».
«Va, da ultimo - concludono i Giudici - affrontata l’obiezione concernente l’allegata obsolescenza degli elementi indiziari (le intercettazioni si riferiscono a conversazioni del 2011 e del 2012): a tal riguardo, l’insegnamento costante della giurisprudenza afferma che l'interdittiva antimafia può fondarsi, oltre che su fatti recenti, anche su fatti più risalenti nel tempo, quando tuttavia dal complesso delle vicende esaminate, e sulla base degli indizi (anche più risalenti) raccolti, possa ritenersi sussistente un condizionamento attuale dell'attività dell'impresa. Nel caso di specie, il decorso del tempo assume una valenza neutra, non essendo sopravvenute circostanze atte a segnalare un chiaro distacco o dissociazione dell’impresa, pur costituita successivamente agli eventi indizianti, dal veicolo di potenziale pericolo infiltrativo rappresentato dal - Tizio - e dalla sua sfera di passati contatti, cointeressenze e frequentazioni. In altre parole, alla luce della portata indiziante degli eventi emergenti dalle risultanze info-investigative, non pare scalfita né sminuita la valenza induttiva del sillogismo indiziario che conduce a formulare, secondo il canone probatorio “più probabile che non” che sia ragionevolmente persistente il pericolo di condizionamento dell’attività di impresa da parte delle consorterie criminali in considerazione della relazione qualificata che lega la società alla figura del - Tizio -. Come ben esposto dianzi, il fondamento dell’informativa antimafia risiede nel giudizio prognostico di un pericolo infiltrativo e non già di un’infiltrazione o di un condizionamento in essere, a riprova della sua natura di fattispecie di pericolo e non di danno, e della correlativa funzione preventivo-cautelare e non sanzionatoria».