CHIVASSO

Omicidio Giusy, dopo tre mesi non c'è ancora giustizia

Chi ha ucciso Giusy Arena? Una donna buona che non faceva del male a nessuno

Omicidio Giusy, dopo tre mesi non c'è ancora giustizia
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Da tre mesi un assassino circola fra di noi. Magari beve il caffè al nostro fianco, cammina indisturbato nel salotto buono della città, va a comprare nei supermercati dove andiamo anche noi. Perché difficile pensare a un uomo venuto dal nulla.

Omicidio Giusy, dopo tre mesi non c'è ancora giustizia

Chi ha ucciso Giusy Arena? Una donna buona che non faceva del male a nessuno. Un po’ strana si, riempiva l’aria di Chivasso con le sue canzoni urlate a squarcia gola. Cantava imprecando contro i servizi sociali e lanciando epiteti irripetibili contro un ex assessore. Abitava in un alloggio ingombro di ogni genere di oggetti in compagnia di due cani e mezza dozzina di gatti.
Come dicevamo 90 giorni sono trascorsi dal suo brutale omicidio, tante persone sono sfilate davanti ai carabinieri, il quartiere dove abitava è stato passato al setaccio. Ma nessuno è stato ancora arrestato.
Per giorni e giorni Chivasso ha occupato i telegiornali, il volto di Giusy è apparso in decine di trasmissioni televisive.
A oggi solo tante domande e nessuna risposta. Chi ha ucciso Giusy Arena, chi l’ha voluta cancellare dalla faccia della terra, nel giorno del suo 52esimo compleanno, al punto di spararle tre colpi in faccia?

I fatti

Sono le 18.18 di mercoledì 12 ottobre quando ai Carabinieri di Chivasso arriva la richiesta d’intervento per una donna trovata in un lago di sangue in uno spiazzo alle porte di frazione Pratoregio, ai piedi della linea ad Alta Velocità.
Un luogo che non si raggiunge per caso, un «non luogo» che nell’immaginario dei chivassesi significa solo una cosa: guai. Qui si consumano incontri di sesso, tra bottiglie vuote, preservativi e rifiuti che descrivono un girone infernale in cui tutto può succedere. Rapine, risse, omicidi. La prima chiamata alle Forze dell’ordine è per una «caduta dalla bicicletta», ma è subito chiaro a tutti che si tratti di un omicidio. Il medico Legale accerterà poi che era morta da circa 6 ore. L’area viene delimitata con il nastro bianco e rosso ai militari si aggiungono man mano i colleghi del Comando Provinciale di Torino e del SIS che passano al setaccio ogni centimetro del piazzale alla ricerca di tracce utili per le indagini. Tre i bossoli ritrovati, calibro 7.65, responsabili dello scempio sul volto di Giusy. Poco prima della mezzanotte l’area viene illuminata a giorno dalle fotoelettriche dei Vigili del Fuoco di Volpiano e Chivasso, uno scenario dantesco in cui tutti si muovono con la consapevolezza che ogni dettaglio può essere fondamentale per risolvere il caso. E’ notte fonda quando il carro funebre lascia Pratoregio per le camere mortuarie dell’ospedale di Chivasso, e ormai tutta la città sa che il corpo martoriato è quello di Giusy.

Chi era Giusy?

Nata a Siragusa il 12 ottobre del 1970, aveva poi raggiunto il Piemonte con la madre Angela Li Sacchi e il fratello Angelo. Per chi la conosceva, c’è un momento esatto in cui la sua mente è cambiata: giovanissima aveva subito un aborto, ed è proprio quel fatto che avrebbe trasformato la ragazza che era (sempre allegra, appassionata di softair che praticava proprio nei boschi in cui è stata uccisa) in quella che è diventata. Un trauma fortissimo, forse acuito dalle frequentazioni che aveva ormai più di trent’anni fa. Ragazzi difficili, che la maltrattavano e a cui non aveva la forza di ribellarsi fino a quando, dopo anni trascorsi tra Aosta e Montanaro, è tornata a Chivasso. Nelle sue canzoni i riferimenti ai figli erano continui: una bambina, ormai donna, che le sarebbe stata strappata dagli Assistenti Sociali (da qui la sua rabbia contro il Ciss che invece non l’ha mai avuta in carico), e poi i gemelli portati via alla nascita (il cui padre sempre stando ai racconti di Giusy sarebbe un medico della zona, di cui negli ultimi tempi faceva nome e cognome) creature per lei reali, ma a quanto ricostruito dagli inquirenti e da chi le è stata vicino sono solo frutto della sua mente, un incubo da cui non è più riuscita a svegliarsi. Giorno dopo giorno, Giusy ha continuato a chiudersi sempre più in se stessa, riempiendo la casa di oggetti e dando tutto il suo amore ai due cani e ai gatti che ormai la seguivano ovunque andasse. La si vedeva spesso in giro, in centro come sulla strada per Montanaro, dove quasi ogni settimana andava a pregare sulla tomba della madre.

Le indagini

La vita di Giusy Arena, nelle ore successive all’omicidio è stata passata al setaccio. Gli inquirenti in questi tre mesi hanno seguito più piste dall’eredità a quella passionale. Ma niente del killer, nessuna traccia. Il primo nodo da risolvere, il giallo delle chiavi trovate accanto al corpo di Giusy. Un mazzo che non apre nessuna porta di via Togliatti ne quella di casa, ne il garage la cantina o la buca delle lettere. E poi la porta di casa. Alle 12,30 di quel maledetto 12 ottobre era aperta come ha confermato l’addetto alla consegna dei pasti sociali, mentre all’arrivo dei Carabinieri in tarda serata era chiusa. Come mai? E ancora nei giorni precedenti al delitto Giusy sarebbe stata vista litigare furiosamente con un uomo, prima davanti alla sua abitazione di via Togliatti, e poi nel parco dal lato di viale Vigili del Fuoco, nei pressi del centro sportivo «Tescaro». Stando alle testimonianze, la donna avrebbe discusso più volte con quello sconosciuto, descritto come «alto, distinto, molto elegante». Un uomo che nessuno, in via Togliatti, avrebbe mai visto prima di allora. Ma anche questa pista non ha portato da nessuna parte. C’è poi la questione dell’eredità, quel tesoro che effettivamente avrebbe potuto far gola a molti. Il primo a ricevere la visita dei carabinieri è stato il fratello di Giusy, Angelo Arena, ma lo «stub» per rilevare tracce di polvere da sparo (nulla più che un atto dovuto, l’uomo non è stato mai indagato) ha dato esito negativo. E’ quasi certo che a Pratoregio Giusy sia arrivata o seguendo qualcuno che conosceva (era molto diffidente anche con i vicini) o perché aveva un appuntamento. Purtroppo anche dall’analisi delle telecamere pubbliche o private disseminate lungo il percorso, non pare essere emerso qualcosa di importante. Vi è poi un’ultima ipotesi che vede Giusy testimone di un qualcosa che non avrebbe dovuto vedere: da qui, la decisione di eliminarla con tre colpi di pistola in faccia. Ma nonostante le ricerche, avvenute anche nei giorni successivi con l’ausilio dei Nuclei Cinofili di Volpiano, dell’arma del delitto non è stata trovata la minima traccia. Potrebbe essere ovunque: tra i rovi, nel fiume, o ancora tra le mani dell’assassino. Passano tre settimane e in una lettera anonima giunta alla redazione del giornale, e da noi prontamente consegnata ai Carabinieri, si chiede di indagare tra i vicini di casa: «Sanno tutto riferitelo ai carabinieri».
Durante la bonifica dell’appartamento al civico 66 di via Togliatti nelle due stanze stracolme di oggetti, sarebbe stata trovata anche una lettera di un aspirante fidanzato della 52enne, che proponendosi come compagno le avrebbe poi anche chiesto un rapporto sessuale.

Giustizia per Giusy

Il rischio che l’omicidio di Giusy Arena resti un «caso irrisolto» si fa sempre più concreto. Troppi dubbi e poche certezze. L’arma del delitto non è stata trovata, non vi sono chat sul cellulare da passare al setaccio, non è nemmeno chiaro quando e come Giusy sia arrivata a Pratoregio.

Un puzzle complesso, di cui mancano ancora una infinità di tasselli. Per questo, gli amici di Giusy in testa il fratello Angelo chiedono di non spegnere i riflettori su questa vicenda. Un unico coro: «Non permettete che il suo assassino (o i suoi assassini) la passi liscia».

La città ha sete di giustizia. Noi quei riflettori vogliamo tenerli accesi: «Prendete quel maledetto».

Giusy se lo merita. Non lasciamo che la sua morte resi impunita».

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