«Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali». Sono queste parole a chiudere il ricorso in Cassazione presentato da Mario Vazzana, 63 anni, Agostina Ceravolo, 52 (convivente di Mario Vazzana dal 2017), Anna Ida D’Erchie, 59 (moglie di Giuseppe Vazzana), Antonio Madea, 30, e Cataldo Madea, 25 (figli di Agostina Ceravolo), in merito alla confisca di alcuni beni confermata dalla Corte di Appello di Torino in seguito al processo per ‘ndrangheta legato all’operazione «Platinum» che aveva visto coinvolto, tra loro, il solo Mario Vazzana, con il fratello Giuseppe.
Operazione “Platinum”, addio all’impero della famiglia Vazzana
La sentenza, pubblicata mercoledì 3 dicembre, era stata emessa lo scorso 16 settembre dalla Sesta Sezione Penale, presidente Gaetano De Amicis e relatore Federica Tondin.
Il Sostituto Procuratore Generale, Elisabetta Ceniccola, aveva concluso il proprio intervento chiedendo che fosse dichiarato inammissibile il ricorso presentato nell’interesse di Vazzana, e venissero rigettati quelli degli altri convenuti.
Il primo punto: la “pericolosità” di Vazzana
Vazzana ha in primo luogo sollevato un appunto sulla sua «pericolosità», «Erroneamente ritenuta sussistere in virtù di una affiliazione alla locale di Volpiano verificatasi in epoca antecedente al 27 febbraio 1991, mentre, secondo le sentenze che l’hanno accertata, tale affiliazione risale ad epoca successiva (1994)».
Bocciati tutti i ricorsi
Passando altri ricorsi, analizzando quello presentato da Agostina Ceravolo e Cataldo e Antonio Madea, giudici fanno notare che «Quanto a Extreme s.a.s., che la società è stata costituita tra Agostina Ceravolo e i figli pochi giorni prima dell’acquisto dal “Ristorante Belmonte” del bar “La Corte” al prezzo di 12 mila euro, che non risulta mai essere stato corrisposto. La società “Ristorante Belmonte” aveva acquistato il bar “La Corte” pochi anni prima, per far fronte ad una importante esposizione debitoria. A seguito della cessione del bar alla neocostituita società, “Ristorante Belmonte” è stata completamente svuotata, mentre l’attività del bar è proseguita apparentemente in capo a terzi, al riparo da aggressioni dei creditori».
E ancora: «Riguardo all’assegno circolare tratto sul conto di Antonio Madea: nei mesi successivi al suo incasso, sul conto corrente da cui è stato tratto, si registrano versamenti in contanti esattamente corrispondenti all’importo di 10 mila euro, tanto che alla fine del 2019 risulta ricostituito il saldo precedente; la sequenza di tali movimenti è considerata tanto più significativa quanto più nel 2020 non constano ulteriori versamenti, cosa che porta a ritenere che Antonio Madea abbia anticipato la somma di 10 mila euro e ne abbia poi ottenuto la restituzione. Quanto al veicolo Volvo XC 60, acquistato nel 2017 da Agostina Ceravolo, le disponibilità economiche della ricorrente non consentivano l’acquisto.
(…) Il decreto impugnato, ha poi, minuziosamente ricostruito la situazione patrimoniale del nucleo familiare di Agostina Ceravolo e dei figli in epoca antecedente al 2017, situazione tanto precaria da rendere necessario per garantirne la sopravvivenza il ricorso all’aiuto delle famiglie di origine, nonché la provenienza delle somme utilizzate per il pagamento dell’autovettura BMW intestata a Antonio Madea, con riferimento a tutti i versamenti effettuati sul conto corrente, incompatibili con il reddito e ingiustificati».
Passando ad Anna Ida D’Erchie, «La Corte ha diffusamente argomentato in ordine alla deduzione relativa alla provvista per l’acquisto dell’immobile di via san Marco 22, rilevando che i risparmi cui si riferisce la ricorrente sono stati accumulati in periodo di sperequazione, quindi, se è vero che la somma risulta accantonata dalla ricorrente, è anche vero che dal conto non risultano spese familiari, pertanto, si tratta di un accumulo fittizio in periodo di sperequazione».
E ancora, «In riferimento alle quote societarie della Green s.r.l. e all’acquisto dell’immobile in Volpiano, dal decreto emerge che negli anni in cui sono state poste in essere tali operazioni vi è sempre stato un saldo negativo tra entrate e uscite.
(…) La stessa cessione delle quote, considerato il momento in cui è stata posta in essere, è stata qualificata come operazione fittizia mirata a preservare il patrimonio familiare». Dai dialoghi captati si deduce in modo chiaro, ad avviso dei Giudici di merito, che la ricorrente non era nemmeno consapevole di cosa fosse la società Green s.r.l., di cui era socio di maggioranza e finanziatrice, e che detta società non solo era gestita dal marito, ma a lui apparteneva.