LA TESTIMONIANZA

Positiva al Covid, portata in Pronto d’urgenza: l’incubo in sub intensiva

Le difficili settimane che sta vivendo Elisabetta Chiarello.

Positiva al Covid, portata in Pronto d’urgenza: l’incubo in sub intensiva
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Positiva al Covid, portata in Pronto d’urgenza: l’incubo in sub intensiva, all'ospedale Sant'Andrea di Vercelli, di Elisabetta Chiarello, 45 anni e residente a Livorno Ferraris.

Positiva al Covid

«Il peggio è alle spalle ma a tutti dico: non abbassate la guardia, indossate la mascherina, mantenete il distanziamento sociale e rispettate le regole. La vita è la cosa più importante che abbiamo, proteggiamoci». È un appello accorato quello che la livornese Elisabetta Chiarello, 45 anni, fa dall’ospedale Sant’Andrea di Vercelli, dov’è ricoverata da circa due settimane dopo aver contratto il Covid e aver vissuto una delle esperienze più brutte della sua vita.

Porta in Pronto d'urgenza... e poi in sub intensiva

«Purtroppo la situazione è precipitata e dopo una giornata in Pronto soccorso sono finita in sub intensiva per tre giorni, con il tristemente famoso casco in testa che parte dalle spalle: non puoi bere, non puoi toccarti, il casco ti fa sudare, l'unica cosa che puoi fare è guardare il telefono e mandare qualche messaggio ma dopo un po’ l’ossigeno ti fa bruciare gli occhi. E sai che non puoi disturbare gli infermieri per questa cosa, perché ti guardi intorno e capisci che hanno altro da fare. La sensazione è terribile, quasi di claustrofobia, e ti senti persa», ammette senza nascondere la sofferenza. Ma riavvolgiamo il nastro. I primi sintomi a Elisabetta Chiarello, vice responsabile di un Autogrill e storica volontaria del canile di Livorno, nel quale si occupa in particolare della parte burocratica, sono comparsi nella notte tra giovedì 22 e venerdì 23 ottobre scorso: la febbre è proseguita per giorni, fino a quando è stata inserita nella lista per il tampone ed è stata visitata a casa dai medici dell’Usca, che oltre a mantenere un contatto telefonico col paziente fanno anche le visite a domicilio. «Dopo otto giorni dalla comparsa dei sintomi, la situazione è precipitata: al telefono hanno percepito che ero in affanno e mi hanno invitato a chiamare subito l'ambulanza: sono arrivati i volontari di Cigliano e quando mi hanno misurato la saturazione ero scesa a 83» racconta. A quel punto la paura ha preso il sopravvento ma i ricordi sono sfocati perché, aggiunge, «quando sono salita in ambulanza stavo così male che non riuscivo a realizzare. L'unica cosa che ho sempre pensato, sin da da subito, e che continuo a pensare tuttora è che sicuramente dopo questa brutta esperienza guarderò ogni cosa da un’altra prospettiva, ridimensionando i problemi e stabilendo nuove priorità», ammette.

La sua battaglia

Ora per lei la situazione inizia lentamente a migliore, pur essendo risultata ancora positiva all’ultimo tampone, effettuato pochi giorni fa: «Ho ancora l'ossigeno con la mascherina con un dosaggio ridotto, nessuno si sbilancia più di tanto anche se è palese che la situazione va migliorando un po’ alla volta. Io non ho fretta, voglio rimettermi bene senza fare un’inutile corsa contro il tempo, anche se spero di tornare presto a casa da mia figlia, che ha 9 anni e che in questo periodo sta da mia sorella visto che il mio compagno è risultato positivo anche se per fortuna asintomatico. Voglio soprattutto liberare il mio posto in ospedale perché qui la situazione è davvero complicata. Nonostante tutto però, medici, infermieri e tutto il personale sanitario cercano di districarsi come possono, hanno sempre una buona parola o una pacca sulla spalla da darti coraggio». Ai “negazionisti” che sui social scrivono che il Covid è una semplice influenza, cosa risponde? «Il virus esiste eccome, poi c'è chi è fortunato e non lo prende oppure riesce a superarlo in forma lieve: ma siccome la nostra vita non ha prezzo, perché ce la dobbiamo giocare alla roulette russa? A tutti dico: proteggete voi stessi e gli altri».

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