MONTANARO

Scarabocchi e immondizia sul muro della fucilazione

La segnalazione di Alessandro De Carli, uno dei volontari di «Quelliconl’Ape» che si occupano di decoro

Scarabocchi e immondizia  sul muro della fucilazione
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Scritte e rifiuti sul «muro della fucilazione». Un muro che segna una pagina sofferta di storia è stato deturpato da chi invece dovrebbe preservarne la memoria.

Scarabocchi e immondizia sul muro della fucilazione

Già, perchè su questo muro di cinta del cimitero di Borgo Loreto che porta ancora i segni dei proiettili del plotone di esecuzione fascista i cittadini hanno segnalato alcuni atti vandalici. «Siamo noi ad avere ritrovato i rifiuti ai piedi del muro della fucilazione - spiega Alessandro De Carli uno dei volontari di «Quelliconl’Ape» - Dentro ai sacchi c’era un pò di tutto: ruotine di biciclette, una borsetta, alcune bottiglie e pure dei giocattoli. Quella è una zona invasa dai rifiuti. Abbiamo smaltito tutto nell’ecocentro di strada Vallo». Non sono passate inosservate anche le scritte sul muro che sembrano alludere a messaggi d’amore accompagnati da cuori. Ma, non tutti sanno la storia legata a questo muro. A raccontarla, è l’ex consigliere comunale Silvano Ferro. «Dinanzi a quel muro - spiega Ferro - è stato giustiziato ai tempi della Seconda Guerra Mondiale un giovane che proveniva dall’alto Canavese: Gino Prauscella. Dopo l’Armistizio di Cassibile l’8 settembre del 1943, questo soldato, come tanti altri, fuggì dall’esercito ma venne ritrovato dai fascisti di Salò. A quel tempo, a Montanaro, il battaglione della Folgore si trovava a Villa Palmira, sulla provinciale per Foglizzo. Il giovane milite fu condannato a morte il 29 marzo 1945. Venne di notte condotto a piedi dalle Brigate Nere sul luogo della fucilazione, e qui gli venne ordinato di scavarsi una fossa. Gli spararono una trentina di colpi di mitraglia, solo uno ad altezza d’uomo, che è stato quello letale. Sotterrato nella fossa, la sua salma venne poi recuperata e traslata dai suoi famigliari dopo la Liberazione di Montanaro avvenuta il 1 maggio 1945. Il giovane era stato condannato a morte non solo perchè ritenuto colpevole di avere disertato l’esercito ma anche per essere stato testimone delle torture afflitte alla montanarese Teresina Graziano, donna che accudiva i bisognosi in guerra, e che era di sinistra».

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