Si lascia morire di fame in carcere, è emergenza
E' una detenuta di origine nigeriane di 43 anni
Una detenuta di origine nigeriane, 43 anni, si è lasciata di morire di fame nel carcere di Torino dove era detenuta.
Si lascia morire di fame in carcere
A nulla sono servite le sollecitazioni ad alimentarsi da parte dei medici e del personale di Polizia Penitenziaria. A dare la notizia è il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria SAPPE, per voce del Segretario regionale del Piemonte Vicente Santilli.
La denuncia
“Il pur tempestivo intervento dei nostri Agenti di Polizia Penitenziaria di servizio non ha purtroppo impedito la morte della detenuta”, commenta. Santilli evidenzia che “la donna stava scontando una pena per cui era prevista il termine nell’ottobre 2030. È deceduta intorno alle 3, nell’articolazione di salute mentale presso cui era ristretta, e la morte è stata accertata dal personale medico e paramedico del 118, immediatamente chiamato dagli Agenti. La donna, entrata in carcere poco dopo la meta del luglio scorso, si era da subito rifiutata di assumere alimenti, rifiutava ogni cura e sollecitazione a mangiare e persino i ricoveri in Ospedale”. Il segretario del SAPPE Piemonte rappresenta che “in Piemonte vi sono 13 istituti penitenziari sui 189 nazionali. La capienza regolamentare regionale stabilita per decreto dal ministero della Giustizia sarebbe di 3.999 detenuti, ma l’ultimo censimento ufficiale (al 31 luglio 2023) ha contato 4.036 reclusi, che ha confermato come il Piemonte sia tra le regioni d’Italia con il maggior numero di detenuti. Le donne detenute sono complessivamente 160 mentre gli stranieri ristretti sono circa 1.600”
"La situazione sanitaria è allarmante"
“La situazione sanitaria nelle carceri resta allarmante, come hanno anche confermato in più occasioni anche gli esperti della Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria: altro che emergenza superata”, commenta Donato Capece, segretario generale SAPPE. “Secondo un rapporto su "Salute mentale e assistenza psichiatrica in carcere" del Comitato Nazionale per la Bioetica, osservando le tipologie di disturbo prevalenti sul totale dei detenuti presenti, al primo posto troviamo la dipendenza da sostanze psicoattive (23,6), disturbi nevrotici e reazioni di adattamento (17,3%), disturbi alcol correlati (5,6%). Le carceri, dunque, assomigliano sempre più a “moderni lazzaretti” di manzoniana memoria”, conclude Capece. “Anche la consistente presenza di detenuti con problemi psichiatrici è causa da tempo di gravi criticità per quanto attiene l’ordine e la sicurezza delle carceri del Paese. Servono interventi concreti: sono decenni che chiediamo l’espulsione dei detenuti stranieri, un terzo degli attuali presenti in Italia, per fare scontare loro, nelle loro carceri, le pene come anche prevedere la riapertura degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari dove mettere i detenuti con problemi psichiatrici, sempre più numerosi, oggi presenti nel circuito detentivo ordinario. Ma servono anche più tecnologia e più investimenti: la situazione resta allarmante, anche se gli uomini e le donne della Polizia Penitenziaria garantiscono ordine e sicurezza pur a fronte di condizioni di lavoro particolarmente stressanti e gravose”.