CHIVASSO

Soldi sporchi: la ‘ndrangheta continua ad aprire locali e negozi

Affari sul sangue degli altri: la crisi mette in ginocchio le imprese e la criminalità organizzata le compra.

Soldi sporchi: la ‘ndrangheta continua ad aprire locali e negozi
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L’affitto, le bollette, le materie prime, alzare la serranda e lavorare anche dodici, diciotto ore al giorno per chiudere il mese (se tutto va bene) con il portafoglio vuoto.

Soldi sporchi: la ‘ndrangheta continua ad aprire locali e negozi

In questa crisi che colpisce ogni settore dell’economia c’è però chi continua a fare affari d’oro, fregandosene dei costi fissi e arricchendosi alle spalle (e sul sangue) dei cittadini onesti.
Parliamo della criminalità organizzata (a Chivasso è storicamente la ’ndrangheta), che mai come ora ha alzato la testa continuando ad illuminare insegne dove gli altri le spengono.
Anche in città, come avevamo già avuto occasione di scrivere poco meno di un anno fa, i soliti noti hanno continuato ad aprire bar, pizzerie, negozi, officine, centri estetici e centri massaggi, mettendo dietro al bancone personaggi senza una storia e senza un euro (o addirittura pieni di debiti): sulla carta sono i titolari, in pratica sono prestanome senza alcuna possibilità di movimento.
Queste realtà «imprenditoriali» sono in realtà delle semplici «lavatrici», che generando un reddito lecito ripuliscono capitali dalla dubbia provenienza.
E così, accade che il prezzo dei loro prodotti sia l’ultimo dei problemi: dovendo semplicemente riciclare capitali, possono vendere pizza alla metà dei loro concorrenti, caffè a meno di un euro (mentre c’è chi pensa a portarlo a un euro e mezzo), o proporre qualsiasi servizio sottocosto.

Il caso

Un danno doppio, perché questo modo di fare assolutamente scellerato porta via clienti alla parte sana del commercio che vede diminuire ancora i suoi sempre più ridotti guadagni.
Dopo aver dato fondo ai propri risparmi, questi negozianti devono necessariamente rivolgersi alle banche, e quando anche queste chiudono i rubinetti non possono far altro, nel disperato tentativo di non fallire, che rivolgersi agli «amici degli amici».
Anche gli usurai, però, non sono più quelli di una volta. Sono eleganti, imprenditori di successo, che mettono sul piatto decine di migliaia di euro, come se fossero caramelle, promettendo zero interessi e facendo firmare anche fogli che lo mettono ben in chiaro.
Poi, però, iniziano le richieste di «anticipare» qualche rata del prestito, richieste sempre più pressanti fino a quando l’imprenditore si rende conto di aver restituito cinquanta mila euro dopo averne presi dieci.
A questo punto, seguendo il solito e collaudato copione, la «vittima» (perché questo è diventata) ha due possibilità: o continuare a pagare sotto minaccia o cedere la propria attività al prezzo (stracciato) fissato dalla controparte.
A Chivasso negli ultimi tempi si sono anche registrati passaggi di mano di realtà storiche (a volte dopo un breve periodo di chiusura), affidate a perfetti sconosciuti come a ragazzi e ragazze (spesso in note difficoltà economiche) che fino al giorno prima facevano tutt’altro. Dove hanno trovato i soldi per comprare l’attività? E per le caparre? E per pagare i dipendenti?
Domande che si fanno i chivassesi e gli altri imprenditori che come detto non possono combattere contro questa concorrenza, ma che al momento non hanno avuto risposte da parte di «chi di dovere».

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