A CASTELROSSO

Vince il Coronavirus ma quando torna in Casa di riposo non trova più nulla

La vittima è Angelo «Angiolino» Lusso.

Vince il Coronavirus ma quando torna in Casa di riposo non trova più nulla
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Sopravvive al Coronavirus ma quando torna nella Casa di riposo di Castelrosso (frazione di Chivasso) non trova più nulla. La vittima è Angelo «Angiolino» Lusso.

Sopravvive al Coronavirus

Entrato nella casa di riposo «La Fraternità» nel gennaio del 2013, Angelo «Angiolino» Lusso, agricoltore in pensione nato il 23 luglio del 1930, aveva ricreato il suo mondo in una stanza del «villino», riservato agli ospiti autosufficienti.
Aveva i suoi vestiti, i suoi libri di preghiere, i suoi rosari, quattro paia di occhiali che usava (dopo un intervento agli occhi) per leggere e per guardare la tv. Una vita tranquilla, scandita dagli orari della RSA e dalle Messe, che lo vedevano spesso in prima fila.
Poi, alle 20.15 di giovedì 9 aprile (in piena emergenza Coronavirus) la telefonata che ha fatto balzare sulla sedie le figlie Margherita e Maria Teresa: «Sono l’infermiera: vostro padre è caduto, lo portiamo in ospedale».

La caduta e il tampone positivo

«Nostro padre è scivolato in camera - raccontano le figlie - e non è più riuscito ad alzarsi. Non vedendolo a cena (alle 19.15), sono andate a cercarlo e lo hanno trovato a terra. Era lucido, parlava, ma durante il trasporto aveva la febbre a 39. Il giorno dopo gli hanno fatto il tampone, e il 12 è arrivato l’esito: positivo. La febbre era scomparsa, lui non aveva nemmeno grosso bisogno di ossigeno, e così è iniziato un pellegrinaggio tra gli ospedali: ad Ivrea fino al 7 maggio, a Cuorgnè fino al 19, a Settimo fino al primo giugno, quando è arrivato il secondo tampone negativo».

Quando torna nella Casa di riposo...

A questo punto, non senza difficoltà, hanno organizzato il ritorno a Castelrosso, con il villino che nel frattempo era stato destinato (accordo tra parrocchia e Asl) ad ospitare quelle persone colpite dal Covid che, dopo la dimissione dall’ospedale, avessero necessità di continuare l’isolamento.
«Quando abbiamo riavuto la roba di nostro padre - proseguono Margherita e Maria Teresa - ci siamo accorte subito della mancanza di occhiali, libri, rosari e anche di alcuni vestiti. Noi abbiamo continuano a pagare la retta anche durante i mesi di ricovero in ospedale, e di conseguenza ci aspettavamo che nessuno avrebbe toccato le sue cose. Nostro padre ha dovuto subire una ulteriore quarantena in attesa del tampone effettuato al suo arrivo a Castelrosso, e per dieci giorni è rimasto chiuso in camera (mangiava anche lì, bevendo l’acqua del rubinetto) senza poter leggere o guardare la tv, che nemmeno funzionava. L’11 giugno ha fatto la prima passeggiata in corridoio, e lo stesso giorno comunichiamo alla direzione che il 15 lo avremmo portato altrove.
Tutto finito? Nemmeno per sogno. Il 14 sera, alle 22, un’infermiera entra nella sua stanza, accende la luce e lo obbliga a fare gli scatoloni con le sue cose, quelle rimaste. Nostro padre ha cercato di dire “Li preparo domani”, ma a fronte delle insistenze si è messo, a quasi 90 anni, a lavorare per un’ora e mezza.
Il giorno dopo, per andare via, ci abbiamo impiegato un’ora e mezza: noi non potevamo entrare, e a nostro padre non è stata data nemmeno la colazione. Dopo sette anni, ci aspettavamo un trattamento diverso...».

Le parole della Rsa

«Se siamo qui a discutere per quattro paia di occhiali e un pigiama...». Giovanni Viarengo, direttore de «La Fraternità» di Castelrosso, non butta certo acqua sul fuoco.

«Prima di tutto il signore non è stato ricoverato per Covid, ma per una caduta. Noi non avevamo un elenco delle sue cose, non ha mai usufruito della nostra lavanderia, e come noto il Villino è stato dato in convenzione all’Asl. Come abbiamo già detto alle figlie, non sappiamo cosa sia andato perso. Svegliato alle 22 per fare le valigie? Non so. Tampone positivo già il giorno dopo il suo arrivo in ospedale? Non lo sapevo.
Preciso solo che abbiamo ancora del materiale del signor Lusso, che non è mai stato ritirato».

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