«Vogliono uccidere tutta la mia famiglia»
Già accoltellato e ferito da un colpo di pistola non esce di casa da maggio: «Ho pensato al suicidio»
«Ho paura, paura che torni ed uccida me, mia moglie, i miei figli, i miei genitori. Non posso continuare a vivere così, per questo ho anche pensato al suicidio: almeno sarò libero».
«Vogliono uccidere tutta la mia famiglia»
Andrea, nome di fantasia, ha chiesto il nostro aiuto per tentare di smuovere Carabinieri e Magistratura: «E’ dal 2 aprile - racconta - che non esco di casa. L’ho fatto una volta, il 3 maggio, e mi hanno raggiunto, accoltellato in ogni parte del corpo e ferito a colpi di pistola».
Ma andiamo con ordine.
Andrea vive con moglie e figli in una villetta, a pochi passi da quella dei genitori, in un piccolo centro del Vercellese.
Sabato 1 aprile, rientrando con un figlio e un nipote da alcune commissioni a Chivasso, varcando la soglia di casa sente le urla della moglie, sbattuta a terra e tenuta per i capelli da quello che da quel momento diventerà il loro incubo.
Con lui ci sono altre persone, con cui inizia una colluttazione. Calci, pugni, minacce (anche sessuali) davanti a quattro terrorizzati bambini che hanno da un mese a 12 anni.
Arrivano i carabinieri, la situazione si calma, poi precipita ulteriormente in un tira e molla che va avanti per tutta la notte fino alla frase che fa gelare il sangue a tutti: «Questa notte, morirete».
«Non abbiamo chiuso occhio - prosegue Andrea - perché avevamo davvero paura che sarebbero tornati per ucciderci. All’alba abbiamo buttato dei materassi per terra, da mio padre, sperando che si fossero calmati, ma dopo alcune ore ci siamo trovati una dozzina di persone al cancello, con spranghe e bastoni.
Mio padre era in caserma, per sporgere una denuncia su quanto avvenuto il giorno prima, lo abbiamo chiamato e si è subito messo in macchina per tornare a casa.
Intanto avevano sfondato il cancello a calci ripetendo “Siamo venuti a picchiarvi, morirete tutti, uscite che tanto non ce ne andiamo”, aggiungendo “Tu non dormirai più a casa tua”. E così è successo, dato che dal 2 aprile sono praticamente blindato da mio padre.
Noi ci siamo barricati in casa, ma quando hanno iniziato a picchiare una ragazza siamo usciti per salvarla e quindi ci sono saltati tutti addosso.
E quando è arrivato mio padre hanno picchiato anche lui, sfondando i vetri della macchina. Lo abbiamo salvato per miracolo, riuscendo a trascinarlo in casa e sprangando la porta».
All’arrivo dei carabinieri non c’è più nessuno: «Non so come abbia fatto, ma il responsabile di tutto quello che è successo ha poi chiamato l’elisoccorso dicendo di essere stato accoltellato...».
Le acque si calmano, ma per paura di ulteriori vendette Andrea resta a casa del padre, chiuso in quelle stanze, senza nemmeno uscire in giardino, accompagnare i figli a scuola o frequentare il corso di formazione professionale a cui era iscritto.
Anche il fratello, che lavora ad Amazon, si assenta dal lavoro rischiando di perderlo. Hanno tutti paura, paura di essere ammazzati come bestie, adulti e bambini.
«Non andavamo nemmeno più a comprare il pane - prosegue Andrea - e se proprio era necessario uscivamo in tre. Poi, il 3 maggio, ho deciso che non potevo andare avanti così. Non dormivo nemmeno la notte temendo che ci bruciassero la casa.
Nel pomeriggio prendo la borsa, salgo in macchina (l’avevo appena comprata, con i vetri oscurati, per passare inosservato) e vado in palestra, a Crescentino, dove prima delle aggressioni ero seguito da un personal trainer.
Appena arrivo mia madre mi chiama, dicendo di fare attenzione. Non finisco l’allenamento, ho troppa paura, non mi cambio nemmeno, prendo la borsa e apro la porta della palestra.
Vedo una ragazza della palestra seduta, la saluto, mi giro e noto una station wagon scura. Quelli sono lì per me.
Corro verso la mia macchina, ma mi avevano già bucato una gomma per non farmi scappare.
Apro la portiera, ma preso dal panico non riesco nemmeno a chiuderla. Dall’altra auto scendono in tre, con coltelli e pistole, mi colpiscono ovunque, braccia, gambe e petto. Urlo, chiedo aiuto alla ragazza che avevo visto poco prima. Lei corre in palestra, ma quelli continuano a colpirmi.
Uno mi punta la pistola addosso, ma forse non preme il grilletto per paura di colpire il suo amico. Con il calcio mi spacca i denti, poi mi spara, a una gamba, ma sono talmente terrorizzato che nemmeno me ne accorgo. Me lo dirà il medico del 118, mentre mi porta a Chivasso.
Nemmeno in ospedale sono tranquillo, dato che temo vengano a finire il lavoro. E ci hanno provato, dato che hanno mandato una ragazza a vedere dove fossi facendola passare per mia sorella.
Da quando mi hanno dimesso vivo da mio padre, con la mia famiglia, ma non posso andare avanti così.
Ho davvero pensato di suicidarmi, ma prima di farlo ho deciso di rivolgermi a voi, al giornale, nella speranza che qualcosa si muova.
Chiedo solo di poter tornare, con la mia famiglia, a vivere, senza paura di essere uccisi».