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Mastroleo dopo due anni lascia il Pd: «Mi sono sbagliato»

"Per quel che mi riguarda sarà mio impegno rapportarmi con chi riterrà queste considerazioni motivo di incontro e di utilità sociale"

Mastroleo dopo due anni lascia il Pd: «Mi sono sbagliato»
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Giovanni Mastroleo fa outing e ammette di essersi sbagliato ad entrare il Partito Democratico. Perciò saluta tutti e se ne va.
Non sbatte la porta ma spiega bene il perché di quest’addio.

Mastroleo lascia il Pd: «Mi sono sbagliato»

Esordisce: «Mi sono sbagliato! Con rammarico ed estrema sincerità, devo ammettere che, quando circa due anni fa decisi di aderire al PD, commisi un errore di analisi politica, nel ritenere che con quella decisione avrei “arricchito” la mia militanza e avrei contribuito (nel mio piccolo) a dare respiro al progetto del centrosinistra (chivassese).
Così non è stato, il “recinto-comunità” largo in cui pensavo di entrare si è dimostrato molto diverso da quello che pensavo, piccoli “orticelli” con prospettive diverse».

Prosegue: «Tolto il rapporto positivo con il segretario e pochi altri, mi sono sentito un intruso, fuori posto ed esterno alle dinamiche che si perpetuano all’interno del circolo. Devo altresì dire, sempre con sincerità, che prima con Letta e poi con Schlein (che non ho votato) mi aspettavo un’evoluzione del PD nel farsi Partito-centrosinistra, capace di costruire quell’alternativa di governo a cui tutti noi aspiriamo: alternativa alla cultura della destra che ci governa oggi; alle demagogie programmatiche di quando si sta all’opposizione; ai concetti di guerre “democratiche”; alle posizioni sulla guerra tra Hamas e Israele e la poca chiarezza sul concetto di pace». Da qui la decisione: «Queste considerazioni mi inducono a non sentirmi (se mai mi sono sentito) più parte di questo Partito. Tornerò nell’ambito a me più congeniale, ad un “recinto” più omogeneo possibile e che abbia voglia di esprimere ancora le proprie idee, senza dover fare compromessi di nessun genere, in virtù di propositi controversi e funzionali alle posizioni del momento che si sta attraversando.
Penso che una delle prime cose da mettere in agenda sia quella della partecipazione; siamo sempre fra di “noi” che ce la diciamo e raccontiamo, le nostre dinamiche non riescono ad attrarre nessuno (anzi) al nostro essere, non riusciamo a intercettare veramente le pulsazioni che le nuove generazioni, soprattutto sulle questioni ambientali, ci gridano nelle orecchie. Non abbiamo il coraggio di uscire fuori dagli schemi che ci siamo dati, non sappiamo leggere quello che ci circonda e le sollecitazioni che questa nostra società ci trasmette, ci accontentiamo delle piccole cose contingenti». Conclude: «Guerra e Pace, emergenza ambientale, immigrazione, diritti, disuguaglianze e diritto al lavoro, questi i temi che a mio avviso dovrebbero rappresentare l’agenda per le battaglie dei prossimi anni, non titoli che decliniamo a seconda di dove siamo, ma elaborazioni che ci possano far intravvedere quel che sarà il nostro futuro. Per quel che mi riguarda sarà mio impegno rapportarmi con chi riterrà queste considerazioni motivo di incontro e di utilità sociale».

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