Gli addetti alle pulizie cacciano il Covid dall'ospedale
Tra gli eroi ci sono anche loro, quelle donne e quegli uomini che ogni giorno puliscono e sanificano i locali dell’ospedale civico di Chivasso.
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Tra gli eroi di questa emergenza sanitaria Covid ci sono anche loro, quelle donne e quegli uomini che ogni giorno puliscono e sanificano i locali dell’ospedale civico di Chivasso. Sono i dipendenti dell’azienda Cm Service che, guidati dalla loro responsabile Rosa Ferro, da mesi ormai lavorano senza sosta, di giorno e di notte.
Gli addetti alle pulizie cacciano il Covid dall'ospedale
Tra gli eroi di questa emergenza sanitaria Covid ci sono anche loro, quelle donne e quegli uomini che ogni giorno puliscono e sanificano i locali dell’ospedale civico di Chivasso. Sono i dipendenti dell’azienda Cm Service che, guidati dalla loro responsabile Rosa Ferro, da mesi ormai lavorano senza sosta, di giorno e di notte.
«Lavoriamo all’ospedale di Chivasso che per settimane è stato completamente riconvertito a Covid19 - spiega Ferro - Non è stato certamente facile per noi, ma ci siamo protetti e abbiamo garantito il servizio al meglio. Come ogni medico, infermiere e oss anche noi abbiamo dovuto indossare i Dpi, dalla mascherina alla tuta, dagli occhiali ai calzari. Abbiamo dovuto imparare la tecnica della vestizione ma soprattutto quella della svestizione, la più complessa per non contagiarci. E lo facciamo tra di noi. Ci aiutiamo a vicenda. Diciamo che questa collaborazione ha rafforzato le sinergie e il gruppo di lavoro».
Non è un lavoro semplice quello dello staff di Ferro come lei stessa spiega: «Noi puliamo i reparti, di giorno e di notte. Infatti, a differenza di prima, ora abbiamo la reperibilità. Il nostro intervento, oltre alle normali pulizie, è la sanificazione dei locali e dei presidi sanitari (letti, barelle, ecc...) subito dopo il decesso di un malato o anche solo al passaggio di un paziente. Operiamo non solo nei reparti ospedalieri ma anche nelle camere mortuarie.
Il dramma nelle corsie
Al servizio di questo nosocomio siamo 30 persone, 15 al mattino e 15 al pomeriggio. Chi fa la notte, naturalmente, non rientra nella turnazione.
Come detto, affrontare questa emergenza sanitaria non è stato facile perché anche noi, come il personale sanitario, vediamo le persone soffrire da sole, non possono avere il contatto con i propri cari. E non possiamo far nulla per aiutarli. Un caso che mi ha molto colpito è stato quello di una coppia ricoverata vicina in Pronto soccorso, il dolore della moglie che ha visto morire il marito senza poter far nulla. Ma anche quello di una donna anziana che, consapevole che si stava spegnendo, sapeva anche di non poter vedere per l’ultima volta suo figlio. Sono storie dure, esperienze che ti lasciano un segno indelebile dentro di te. Vedi le persone soffrire che vorrebbero vedere un proprio caro mentre le uniche persone con cui possono dialogare è un infermiere. Che è già un aiuto importante, ma non è come un marito o un figlio. Ecco, noi vediamo tutto questo e siamo impotenti. E dunque anche tra di noi ci facciamo forza, ci confortiamo di fronte a queste situazioni.
Anche l’azienda ci ha molto aiutato, non ci ha fatto mancare nulla. Ci fa lavorare in piena sicurezza. E così anche l’ospedale. Ci ha lasciato uno spogliatoio dove possiamo toglierci i Dpi e concederci una doccia prima di fare ritorno a casa.
Ora stiamo aspettando di fare i tamponi, al momento nessuno di noi sta male o ha sintomi che riconducano al Covid».
La vita a casa
La vita a casa, dopo il lavoro in ospedale?
«Io vivo a San Benigno Canavese - spiega ancora - con mia mamma di 84 anni che ha problemi di salute seri. Dunque per lei il virus sarebbe molto rischioso. Allora, quando finisco il lavoro mi lavo e mi cambio. Quando arrivo a casa sto in salotto: mangio e dormo sul divano. Ogni qualvolta vado in bagno, avendone solo uno in casa, lo disinfetto bene. Non vivo ormai con i miei cari da settimane ma lo faccio per loro, per la loro salute».
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