L’ultima, sentenza

‘Ndrangheta, dalla Corte di Cassazione arriva l’ennesima conferma della presenza a Chivasso

Secondo l'impostazione accusatoria originaria, le predette "locali" erano affiancate da una struttura "Crimine.

‘Ndrangheta, dalla Corte di Cassazione arriva l’ennesima conferma della presenza a Chivasso
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Anche se non legate direttamente al nostro territorio, le sentenze della Corte di Cassazione sono una miniera di informazioni utili per descrivere la ramificazione della ’ndrangheta nel Chivassese.

‘Ndrangheta, ennesima conferma della presenza a Chivasso

L’ultima, sentenza  datata 17 febbraio e pubblicata pochi giorni fa, riguarda il ricorso presentato da Francesco D’Onofrio, nato a Mileto nel 1955, e Francesco Tamburi, nato a Siderno nel 1936, contro una sentenza della Corte di Appello di Torino emessa nel luglio del 2019.
I due, già condannati e in Cassazione dopo un rinvio ad altra sezione dell’Appello, erano nei guai per il noto articolo 416 bis del Codice Penale, ovvero associazione a delinquere di tipo mafioso.
Nelle trentasei pagine della sentenza, che si chiude con la condanna dei due, i giudici Gerardo Sabeone (presidente) e Rossella Catena (relatore) ricostruiscono la presenza della ’ndrangheta nella nostra Regione.

"Le locali"  sul territorio

«Va premesso - si legge - che la vicenda in esame ha per oggetto il fenomeno associativo della 'ndrangheta piemontese e, in particolare, l'associazione operante nel territorio della città di Torino e della provincia, collegata con le strutture organizzative insediate in Calabria - attraverso i referenti Giuseppe Commisso e Giuseppe Marvelli - e costituita da nove articolazioni territoriali, dette "locali" (locale di Siderno, locale di Natile di Careri, locale di Rivoli, locale di Chivasso, locale di Moncalieri, locale di Volpiano, locale di Cuorgné, locale di San Giusto, locale di Nichelino); tali "locali", inoltre, risultano coordinate, tra loro e nelle relazioni con la "casa madre" calabrese, da Giuseppe Catalano; infine, ciascuna "locale" risulta connotata da organismi di vertice ("capo società", "capo locale", "mastro di giornata", ecc,) e da affiliati subordinati ed a loro volta ripartiti in due compartimenti, "società maggiore" e "società minore"».

 Il gruppo "Crimine"

«Secondo l'impostazione accusatoria originaria, le predette "locali" erano affiancate da una struttura "Crimine", deputata alla commissione delle azioni violente nell'interesse dell'intera compagine sul territorio piemontese; detto gruppo "Crimine", di cui avrebbe fatto parte il D'Onofrio, è stato ritenuto insussistente nella originaria denominazione e funzione, essendo stato individuato invece, dalle sentenze di merito che si sono succedute, un gruppo Crea, di cui il D'Onofrio era stato inizialmente ritenuto vertice e, successivamente, mero partecipe.
Il Tamburi, invece, risulta inserito, quale partecipe, nella "locale" di Siderno. - Prosegue il documento -  (...) La sentenza impugnata, partendo dall'assunto circa l'insussistenza di una struttura "Crimine" come originariamente intesa - ossia come struttura trasversale, facente capo ad Adolfo Crea, deputata allo svolgimento di azioni violente per conto di tutte le "locali" - ha ricordato come, nondimeno, fosse parimenti pacifica l'esistenza di un gruppo diretto da Adolfo Crea e composto da Aldo Cosimo Crea, Fortunato Currà, Francesco D'Agostino (classe 1960), Giacomo Lo Surdo, Vincenzo Argirò, Benvenuto Praticò, Giovanni Praticò, Vito Marco Candido, Giuseppe Mangone, oltre a Francesco D'Onofrio».

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