Il caso

Strage di Brandizzo, dopo due anni non c'è ancora Giustizia

Lo sfogo dei familiari di Giuseppe Aversa, una delle cinque vittime della terribile tragedia sul lavoro dell'agosto 2023.

Strage di Brandizzo, dopo due anni non c'è ancora Giustizia
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«Io vado a Brandizzo, in Stazione, vado al cimitero, a pregare, ma non so nemmeno cosa ci sia in quella bara».
Lidia Orastella è la mamma di Giuseppe Aversa, una delle cinque vittime della strage di Brandizzo avvenuta il 30 agosto del 2023. Con lui, su quei binari maledetti, hanno perso la vita Kevin Laganà, Michael Zanera, Giuseppe Sorvillo e Giuseppe Saverio Lombardo.

Strage di Brandizzo, dopo due anni non c'è ancora Giustizia

Cinque nomi, cinque croci, cinque uomini usciti di casa per andare al lavoro e mai più tornati.
Cinque operai travolti da un treno sui binari della Stazione di Brandizzo.
Sono passati quasi due anni da allora, due anni senza risposte, senza colpevoli. Senza Giustizia.

"Si sono dimenticati tutti di noi"

«Vogliamo risvegliare questo silenzio - spiegano Lidia Orastella e suo figlio Edoardo, con lei in redazione - si sono dimenticati tutti di noi.
Dopo un anno dall’incidente i magistrati di Ivrea hanno chiesto sei mesi per ulteriori accertamenti: ne sono passati dieci e nessuno ci ha ancora detto nulla.
Siamo allibiti: non conosciamo la dinamica dell’incidente, non sappiamo a che punto siano le indagini, l’unica nostra certezza è che questi cinque ragazzi non ci sono più.
Non li abbiamo più visti, nemmeno nelle bare. Non c’era più nulla.
E’ inconcepibile. Non ci sono parole.
Non ci hanno nemmeno restituito gli effetti personali, lo zaino, i documenti, però i loro responsabili hanno aperto nuove ditte, nuove sedi, lavorano ancora.
Nessuno ha pagato per la morte di quei cinque ragazzi, vi sembra normale?
Dov’è la Giustizia, quella per cui chi ha sbagliato deve pagare?
Ad oggi, per far tacere le voci, non abbiamo ricevuto risarcimenti: solo quelli raccolti dalle associazioni, dalla gente comune che si è messa nei nostri panni.
Il resto, nulla.
Non siamo nemmeno riusciti a capire perché abbiano spostato il treno, quella notte, ad Alessandria: ma sapete che le agenzie funebri sono andate due volte, ad Alessandria, a recuperare pezzi di corpi di quei ragazzi?
E la Stazione, che è stata ristrutturata solo dopo quel macello?
L’unica cosa buona è la lapide che li ricorda.
Siamo andati due volte a Roma, invitati dalla Politica, ma non è servito a nulla: hanno discusso solo di prevenzione, importantissima certo, ma nessuno ha parlato di Giuseppe, di Kevin, di Michael e degli altri due Giuseppe.
Intanto, ogni giorno accendi la televisione e senti solo di gente che continua a morire. Un giorno uno, un giorno due.
Anche per questo è giusto che ci sia Giustizia, perché non ci siano più famiglie che debbano aspettare qualcuno che non torna.
Quei ragazzi non sono andati da soli sui binari, li hanno mandati. Sanno tutti come si svolgeva quel lavoro.
E l’assurdo è che se prima dell’incidente avessero tolto anche solo un pezzo di binario, il treno sarebbe deragliato e avrebbe tirato giù il palazzo. Possiamo dirlo? Quella sera è ancora “andata bene”.
Adesso, quando fanno lavori come quelli del 30 agosto 2024, si fermano tutti, sui binari non vola nemmeno una mosca.
Ci sono dei video, di quella sera, che non abbiamo ancora visto (non credo che ne avremo mai il coraggio): se almeno avessero chiuso le indagini potrebbero farlo i nostri avvocati. E invece nulla. Due anni di attesa. E di silenzi.
Ce li hanno ammazzati e poi sono spariti tutti.
Tutti.
Gli indagati aumentano (oggi quanti sono, quindici?) ma è tutto fermo. Non sanno nemmeno dirci chi fosse il responsabile quella sera. Ma se ci fosse stato qualcuno a controllare, sarebbero ancora vivi.
Noi vogliamo Giustizia, che si muovano per tirare fuori l’esatta dinamica dell’incidente.
Aspetti la giustizia, hai fiducia nelle istituzioni, ma a sto punto, a chi devi credere?
La ferita non si chiuderà mai, ma almeno avremo il sollievo di sapere che quei cinque ragazzi hanno avuto Giustizia».
«Me lo vedo sempre salire le scale - prosegue mamma Lidia - io e i miei figli andiamo dallo psicologo: che vita stiamo facendo?
Aspettiamo con ansia che sia finita: sembra che abbiano ammazzato cinque mosche, non cinque figli, padri, fratelli».
«La tecnologia per evitare simili incidenti c’è - prosegue Edoardo - ma ha dei costi che nessuno vuol affrontare».
«Appalti, subappalti - ancora mamma Lidia - devono sempre risparmiare.
Quando sono andata a Roma a dirlo, loro parlavano invece di caporalato: e i subappalti cosa sono? La stessa cosa, ma legalizzata».

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